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       Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"  | 
      
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 Zagrebelsky: “Politici maggiordomi 
					della finanza: hanno il terrore delle urne” intervista a Gustavo 
					Zagrebelsky di Marco Travaglio * 
					 
 
					 Professor Gustavo Zagrebelsky, è 
					trascorso più di un mese dal referendum costituzionale e lei 
					non ha ancora detto una parola dopo la vittoria del No. 
					Perché? La campagna elettorale è stata 
					lunga e faticosa. Ora è il tempo della riflessione e di 
					qualche bilancio. Sarebbe insensato accantonare il 4 
					dicembre come se quel voto non avesse rivelato una realtà 
					più dura di tutti gli slogan. Che Italia ha incontrato, nei suoi 
					incontri per il No? Una realtà che non appare nei 
					grandi media: a proposito di post-verità… I tanti che si 
					sono impegnati hanno ricevuto centinaia di inviti da scuole, 
					università, associazioni, circoli d’ogni genere. Soprattutto 
					da giovani, da molti di quelli che alle elezioni politiche 
					si astengono, ma al referendum costituzionale hanno 
					partecipato. Si può pensare che un 20 per cento della grande 
					affluenza sia venuta da lì. E con ciò non voglio certo dire 
					che il No ha vinto per merito dei giuristi e dei professori. Perché ha vinto il No? Credo che ci siano molte ragioni e 
					che l’errore del fronte del Sì sia stato di far leva su una 
					sola parola, semplice ma vuota: riforme. Si sono illusi che 
					la figura del presidente del Consiglio e del suo governo 
					fosse attrattiva. Si era pensato a un plebiscito in cui ci 
					si giocava tutto e così, per reazione, si è coalizzato un 
					fronte di partiti, pezzi di partiti e movimenti tenuti 
					insieme dal timore della vittoria totale dell’altro. Ma lo 
					slogan inventato dai ‘comunicatori’ – “è oggi il futuro” – 
					non era un presagio funesto, quasi un insulto, per i tanti 
					che vivono un tragico presente? Non sottovalutiamo poi la 
					pessima qualità della riforma. Spesso è stato sufficiente 
					leggerne qualche brano. Quella l’abbiamo notata in pochi… Col senno di poi, trovo 
					stupefacente che molti miei colleghi, politici esperti, 
					uomini di cultura vi abbiano trovato motivi di 
					compiacimento. Ma, forse, non avevano letto il testo. Poi 
					quel 20 per cento di elettori di cui parlavo, e che 
					ottusamente ci s’incaponisce a definire “antipolitici”, 
					hanno colto l’occasione altamente “politica” per alzare la 
					testa in nome della Costituzione. In generale, e più in 
					profondo, credo che molti abbiano colto i veleni contenuti 
					in tutta questa triste vicenda che ci ha tenuti inchiodati 
					per così tanto tempo. Quali veleni? Quello oligarchico e quello 
					mercantile, che hanno insospettito molti elettori. Sono 
					stati molti cittadini a domandarsi: ma se, come martella la 
					propaganda del Sì, la “riforma” è solo un aggiustamento 
					tecnico – velocità e semplificazione, peraltro contraddette 
					da norme tanto farraginose – perché mai le grandi oligarchie 
					italiane ed estere si spendono in modo così spasmodico 
					perché sia approvata? Ci dev’essere sotto qualcosa di ben 
					più grosso e, se non ce lo dicono, dobbiamo preoccuparci. Che c’era sotto? Il disegno di restringere gli 
					spazi di partecipazione, cioè di democrazia, per dare campo 
					ancor più libero alle oligarchie economico-finanziarie. I 
					cittadini hanno presenti i propri bisogni reali: giustizia 
					sociale e dunque fiscale, uguaglianza di diritti e doveri, 
					attenzione a emarginati e lavoro. E si sono sentiti 
					rispondere: più velocità, più concentrazione del potere, 
					mani più libere per pochi decisori. Cosa hanno voluto dire i 20 
					milioni di elettori del No? Voltiamo pagina dalle politiche 
					neoliberiste e dalla svendita del patrimonio pubblico che 
					monopolizzano il dibattito culturale, accademico, 
					giornalistico e politico da 30 anni e hanno prodotto tanti 
					disastri sociali. Operazione completata con la riforma 
					costituzionale dell’articolo 81, cioè dell’equilibrio di 
					bilancio sotto l’egida della Commissione europea, approvata 
					in fretta e furia sotto il governo Monti da centrodestra e 
					centrosinistra nel silenzio generale. Ecco: proponeteci 
					un’altra politica. Che c’è di male nell’imporre 
					bilanci in ordine? L’equilibrio di bilancio comporta 
					di fatto la rinuncia alla politica keynesiana di 
					investimenti pubblici per creare sviluppo e lavoro, cioè la 
					pura e semplice rinuncia alla politica. In nome del primato 
					assoluto dell’economia finanziarizzata. Come in Grecia, dove 
					la democrazia è stata azzerata. Nei miei incontri per il No, 
					ho colto una gran fame di politica, cioè di una sana 
					competizione fra politica ed economia, senza il predominio 
					della seconda sulla prima. Si spieghi meglio. Fare politica significa scegliere 
					liberamente tra opzioni: se tutto è obbligato da istituzioni 
					esterne, grandi banche e fondi d’investimento, la politica 
					sparisce. È la dittatura del presente, un presente repulsivo 
					per molte persone. Nella dittatura del presente la politica 
					sparisce e la democrazia diventa una farsa. Le elezioni 
					diventano un intralcio, a meno che le oligarchie non siano 
					sicure del risultato. Il sale della democrazia è 
					l’incertezza del responso popolare. Invece si preferisce uno 
					sciapo regime del consenso. E, dopo il 
					referendum, ecco il governo-fotocopia. Distinguiamo tra Gentiloni e il 
					suo governo. Il nuovo premier, rispetto al precedente, è una 
					novità: è educato, parla sottovoce, dice cose di buonsenso e 
					appare poco in tv, non spacca l’Italia tra pessimisti (anzi 
					“gufi” e “rosiconi”) e ottimisti, fra conservatori e 
					innovatori a parole. Quando il penultimo premier lo faceva, 
					a reti unificate, il minimo che potevi fare era cambiare 
					canale o spegnere la tv. Ora quella finta contrapposizione è 
					finita. Gentiloni pare dire le cose come stanno o, almeno, 
					non dire le cose come non stanno. E il presidente 
					Mattarella, a Capodanno, ha richiamato l’attenzione su tante 
					cose che non vanno. Uno statista deve dire che il futuro non 
					è oggi, ma va costruito da oggi con enormi sacrifici, e che 
					i sacrifici devono distribuirsi tra coloro che possono 
					sopportarli e, spesso, hanno vissuto finora da parassiti 
					alle spalle degli altri. Vedo che Renzi lei non lo nomina 
					proprio… E del governo Gentiloni che dice? È il rifiuto di guardare la 
					realtà, una riprova dell’autoreferenzialità del 
					politicantismo. Quasi uno sberleffo dopo il 4 dicembre. Era 
					troppo sperare che si prendesse atto dell’enorme significato 
					politico del referendum, del colossale voto di sfiducia che 
					l’elettorato ha espresso nei confronti degli autori della 
					tentata “riforma”? Non è una questione personale: saranno 
					tutte ottime persone. Ma è una questione politica. Invece, 
					Maria Elena Boschi, la madrina della “riforma”, è stata 
					promossa in un ruolo-chiave nel governo e la coautrice e 
					relatrice, Anna Finocchiaro, è diventata ministro. Mah! 
					L’unica novità è la ministra dell’Istruzione, subito caduta 
					sul suo titolo di studio. Per il resto, uno scambio di 
					posti. Ma per i nostri politici, forse perché sospettano di 
					contare poco o nulla, chiunque può fare qualunque cosa. Non hanno capito o fingono di non 
					capire tutti quei No? Con i sondaggi che danno la 
					fiducia nei partiti avviata verso il sottozero, verrebbe da 
					credere che Dio acceca chi vuol perdere. Che si voti ora o nel 2018, siamo 
					comunque a fine legislatura. Lei ne è così sicuro? Io un po’ 
					meno. Si dice che occorre armonizzare le leggi elettorali di 
					Camera e Senato. È giusto. Ma, se non le armonizzano entro 
					il 2018, cioè alla naturale scadenza della legislatura, che 
					succede? Si dirà che, per forza maggiore, per il momento, 
					non si può ancora andare al voto? Pensa seriamente che potrebbero 
					farlo? Non mi stupisco più di nulla. La 
					continuità, ribattezzata stabilità, sembra essere diventata 
					la super-norma costituzionale. Il governo Gentiloni non ne è 
					una dimostrazione, in attesa che si ritorni al prima del 
					referendum? Dicono: non si può votare subito 
					perché il No ha mantenuto il Senato elettivo con una legge 
					elettorale diversa da quella della Camera. La colpa sarebbe dunque degli 
					elettori? E non di coloro che hanno scritto leggi con la 
					sicumera di chi ha creduto che l’esito scontato del 
					referendum sarebbe stato un bel Sì? Così, la riforma delle 
					Province della legge del 2014 è stata scritta “in attesa 
					della riforma del Titolo V della Costituzione” e l’Italicum 
					è nato sul presupposto dell’abolizione del Senato elettivo. 
					Si può legiferare, tanto più in materia costituzionale, 
					“nell’attesa di…”? Che presunzione! E la colpa sarebbe dei 
					soliti cattivi che deludono le rosee attese… Suvvia… Napolitano e Mattarella dovevano 
					respingere le due leggi? Io credo che ci fosse un abbaglio 
					generalizzato: tutti pensavano che le cose sarebbero andate 
					inevitabilmente come poi, invece, non sono andate. Era 
					l’ideologia delle riforme, della volta buona, dell’Italia 
					che riparte, degli italiani in spasmodica attesa da 
					trent’anni… Che cos’è l’ideologia, se non la presunzione di 
					spiegare il mondo a venire tramite le proprie granitiche 
					convinzioni e di tacitare i dissenzienti come eretici? 
					Quelli del No tante volte, in questi due anni perduti, si 
					sono sentiti bollare d’eresia. La verità erano le riforme e 
					i garanti delle istituzioni, se non sono stati essi stessi 
					tra i promotori di quella verità, come il presidente 
					Napolitano, l’hanno probabilmente subita, come il presidente 
					Mattarella, insieme allo stuolo di commentatori e 
					costituzionalisti che non hanno guardato le cose con il 
					distacco che avrebbe fatto vedere loro entrambi i lati delle 
					possibilità. Se lei mi chiede se i garanti avrebbero dovuto 
					aprire gli occhi e moderare l’arroganza e la vanità dei 
					“riformatori”, la risposta è sì. Ora il peccato originale di 
					questa legislatura presenta il conto. Peccato originale? Nel 2014, dopo la sentenza della 
					Consulta sul Porcellum che delegittimava il Parlamento, pur 
					lasciandolo provvisoriamente in vita, si sarebbe dovuto, 
					appena possibile, tornare alle urne. Una legge uniforme per 
					le due Camere, allora, c’era: quella uscita dalla sentenza, 
					il cosiddetto “Consultellum”. Ma anche su questo s’è fatto 
					finta di niente, contando sul fatto che i buoni risultati – 
					su tutti la magica riforma costituzionale – avrebbero fatto 
					aggio sul difetto di legittimità originaria, di cui nessuno 
					avrebbe più parlato. Buoni risultati? Il giudizio l’ha 
					appena dato il corpo elettorale. Cosa si aspetta ora dalla 
					Consulta, che il 24 si pronuncerà sull’Italicum? Se valgono le ragioni scritte nei 
					precedenti costituzionali, e non ragioni d’altro tipo, pare 
					di capire che è incostituzionale anche l’Italicum: per i 
					capilista bloccati cioè nominati, per il premio abnorme di 
					maggioranza e per la difformità fra il sistema 
					ipermaggioritario della Camera e il Consultellum 
					proporzionale del Senato. E sulla bocciatura del referendum 
					della Cgil sull’abolizione dell’articolo 18? Da ex giudice costituzionale, ho 
					un obbligo di discrezione. Una sola osservazione: sono 
					sconcertato dal fatto che escano notizie, fondate o 
					infondate che siano, sugli schieramenti con nomi e cognomi 
					formatisi nella camera di consiglio, dove dovrebbe regnare 
					il riserbo assoluto. Cosa si augura di qui alle 
					elezioni? Che si ricominci a fare politica, 
					non con manovre di palazzo ma con progetti per l’avvenire 
					che ci facciano uscire da questo tempo esecutivo che ha 
					bandito la politica, se non come mera lotta per 
					l’occupazione dei posti di potere. Tolto di mezzo il 
					referendum, che è stato un fattore di congelamento anche 
					delle idee, mi auguro un periodo di disgelo. Spero che si 
					ricominci a progettare politicamente e, attorno ai progetti, 
					si raccolgano le forze sociali disposte a partecipare. Il 
					Pd, così come è stato negli ultimi tempi, è uno dei 
					problemi. Il congelamento della politica è dipeso anche da 
					quel partito che è apparso finora come incantato o inceppato 
					dal suo presunto salvatore. Mi augurerei una terapia di 
					disincantamento. Si sente l’esigenza di qualcuno che alzi 
					gli occhi e guardi oltre il giorno per giorno. A modo suo, sta cercando di 
					ristrutturarsi il M5S: codice etico, scouting per la classe 
					dirigente, programma, alleanze in Europa. Stanno scoprendo la politica, 
					evviva! Spero che si pongano il problema politico delle 
					alleanze. In democrazia, le alleanze e anche i compromessi 
					non sono affatto il demonio. La questione è con chi, a che 
					prezzo e per che cosa. Chi stipula buoni accordi dà il segno 
					della propria forza, più di chi si isola nella propria 
					diversità. Così come è segno di forza dire, nel “codice 
					etico”: non mi affido alla regoletta automatica secondo cui 
					un avviso di garanzia comporta l’allontanamento dal 
					movimento; ma mi assumo la responsabilità di leggere quel 
					che c’è scritto e poi di dire: “Questa condotta è 
					difendibile, faccio quadrato attorno a te; questa invece è 
					indifendibile e ti mando via”. Sui fatti, non sull’avviso in 
					sé. Altrimenti ci si mette alla mercé della denuncia d’un 
					calunniatore o di un avversario, o del ghiribizzo d’un pm. E la figuraccia in Europa, tra 
					Farage e i Liberali? Le darei meno peso politico: 
					cattiva gestione d’un problema di tattica parlamentare, che 
					accomuna sempre tutti coloro che stanno in un Parlamento. 
					Sono altri i punti che i 5Stelle devono chiarire. Per esempio? Democrazia interna, selezione 
					della classe dirigente, programma, politica estera, 
					immigrazione. Sui migranti, a proposito di rimpatri, Grillo 
					in fondo dice la stessa cosa del governo che veglia sulla 
					nostra sicurezza, secondo la legge. Ma, non esistendo una 
					posizione chiara o chiaramente percepita del M5S, qualunque 
					cosa dica può essere accusato ora di deriva lepenista, ora 
					di lassismo buonista. I 5Stelle 
					insistono per il referendum sull’euro. La Costituzione non lo prevede. Ma 
					un referendum informale per dare un’idea di massima degli 
					orientamenti tra i cittadini, non vedo perché non sia 
					possibile. Piuttosto, anche qui, occorre la chiarezza delle 
					posizioni. Uscire dall’euro, come, quando e con quali 
					conseguenze? Contestare l’Europa per distruggerla e tornare 
					alle piccole patrie, o per rifondarla, e come? Tra tutti gli 
					Stati attuali, o solo con il nucleo più omogeneo? E così 
					via. Se i 5Stelle vincono le elezioni, 
					che succede? Si farà di tutto per 
					impedirglielo. Anzitutto con una legge elettorale ad hoc: 
					quella proporzionale. Quando il Pd vinse le Europee col 41%, 
					l’Italicum col premio di maggioranza a chi arrivava al 40% 
					era la legge più bella del mondo. Ora che i sondaggi 
					ipotizzano un ballottaggio vinto dal M5S, non va più bene e 
					si vuol buttare via una legge mai usata: roba da perdere la 
					faccia. Non per nulla la Commissione di Venezia e la Corte 
					di Strasburgo nel 2012 (Ekoglasnost contro Bulgaria) hanno 
					detto che non si cambia legge elettorale nell’imminenza 
					delle elezioni. Ma anche qui arriva il conto di troppe 
					miopie. Quali miopie? Dal 2013 una classe politica 
					lungimirante avrebbe tentato di parlamentarizzare i 5Stelle. 
					Invece li hanno demonizzati e ostracizzati. E ora non sanno 
					più come neutralizzarli se non col proporzionale, che ci 
					riporterà alle larghe intese Pd-Forza Italia. Nulla di 
					scandaloso di per sé (vedi la grande coalizione tedesca). Ma 
					in Italia il rischio è che sia l’ennesimo traffico di 
					interessi, con fine ultimo di restare comunque a galla. I 5Stelle non sono pronti per 
					governare. Non le fanno paura? Chi governa lo decidono gli 
					elettori. Sotto certi aspetti, chiunque disponga del potere 
					dovrebbe fare paura. A parte ciò, come già sta avvenendo 
					dove governano i 5Stelle, le nuove responsabilità impongono 
					loro di cambiare pelle, natura e, spero, anche toni: più 
					oggettività e meno proclami. Se si pensa che il problema sia 
					afferrare il potere, perché poi tutto scorra facilmente, ci 
					si sbaglia di grosso. Il M5S ha difeso la Costituzione 
					dalla “riforma” , ma vuole il vincolo di mandato contro i 
					voltagabbana, che ora vengono multati. C’è una soluzione più semplice e 
					costituzionale: il parlamentare è libero di cambiare partito 
					e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. 
					Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per 
					passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più 
					frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: 
					perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso 
					politico della sua elezione. Lei vive a Torino: che gliene pare 
					di Chiara Appendino? Non l’ho votata, perciò posso dire 
					in totale libertà che è una felice sorpresa. Ha detto che 
					non tutto quel che s’è fatto prima è da buttare: ecco la 
					forza della continuità. È più fortunata di Virginia Raggi, 
					che a Roma ha trovato una situazione infinitamente più 
					compromessa: lì è difficile salvare qualcosa del passato. Ma 
					vedo che, ai 5Stelle in generale e alla Raggi in 
					particolare, non si perdonano molte cose che si perdonano 
					agli altri. Due pesi e due misure. Anche a giornali e tv si perdonano 
					bugie e falsità, mentre per il Web s’è perfino coniato il 
					neologismo della “post-verità”. Come se, prima del Web, 
					l’informazione fosse il regno della verità! Da sempre la 
					menzogna è un’arma del potere, lo teorizzava già 
					Machiavelli. Il che non significa che la si debba accettare. 
					Anzi, occorre combatterla, perché la verità è, invece, 
					l’arma dei senza potere contro i prepotenti. La Verità non 
					esiste, ma la verità sì. Almeno sui dati e sui fatti 
					oggettivi. Poi le interpretazioni sono libere. Si dice che il successo di Trump, 
					della Brexit e dei 5Stelle contro gli establishment è colpa 
					delle fake news sul Web. Troppo facile. Le bufale del Web 
					sono così dozzinali che chi ha un minimo di conoscenza può 
					facilmente respingerle, perché quella è una comunicazione 
					orizzontale: verità e bugie, spesso anonime o firmate da 
					ignoti, non hanno autorevolezza e si elidono reciprocamente. 
					Invece la somma delle bugie o delle reticenze diffuse dalla 
					stampa e dalle tv sono firmate, dunque più autorevoli, ergo 
					meno smentibili, perché quella è una comunicazione 
					verticale. Occorrerebbe bloccare gli interventi anonimi sul 
					Web, così sarebbe più facile distinguere chi è credibile e 
					chi no. Se poi qualcuno diffama, si creino procedure 
					giudiziarie rapide. La difesa della reputazione delle 
					vittime è inconciliabile con i tempi lunghi. Ma le fake news 
					diffuse per turbare l’ordine pubblico sono già ora materia 
					penale. Per il resto, questa storia della post-verità mi 
					pare un discorso falso: come se, prima, non esistesse e 
					vivessimo nel paradiso della verità. Che intende dire? Da quando gli elettori 
					disobbediscono regolarmente agli establishment, questi 
					cercano scuse per giustificare le proprie sconfitte e per 
					mettere le mani sull’unico medium che ancora non 
					controllano: la Rete. Si sentono voci autorevoli domandare: 
					ma non vorremo mica far votare gli ignoranti, anzi i 
					“populisti”? Se lo chiedeva già Gramsci: è giusto che il 
					voto di Benedetto Croce valga quanto quello di un pastore 
					transumante del Gennargentu? La risposta, di Gramsci ieri e 
					di ogni democratico oggi, è semplice: se il pastore vota 
					senza consapevolezze, è colpa di chi l’ha lasciato 
					nell’ignoranza; e se tanta gente vota a casaccio, è perché 
					la politica non gli ha fornito motivazioni adeguate. Questi 
					signori pensino a come hanno ridotto la scuola, la cultura e 
					l’informazione: altro che il Web! *il Fatto quotidiano, 13 gennaio 
					2017  
 
							 
					 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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