Ministro Giannini,
niente spending review per la scuola
di Marina
Boscaino

Giannini si dichiara “stupita”. A lei non è stato “comunicato
nulla di specifico” (e questo la dice lunga sui rapporti tra i
membri del governo). Ma ancora più stupiti restiamo noi davanti
alle affermazioni di Delrio, che afferma che la revisione di
spesa non lascerà indenni nemmeno scuola e sanità: “Non vogliamo
tagliare servizi, ma togliere incrostazioni”, ha affermato a
SkyTg24. “Nessuno è escluso. Ma nessuno avrà un diritto in meno,
un servizio in meno: avrà invece una scuola più bella, un
ospedale più efficiente”.
C’è da tremare. Perché l’insistenza sulla pur estremamente
fondamentale questione della sicurezza degli edifici scolastici
lascia aperti – anzi apertissimi – margini di manovra pressoché
infiniti ad un governo che evidentemente sta giocando il tutto per
tutto per rastrellare fondi, pur di mantenere la promessa elettorale
degli 8 euro in busta paga per alcuni lavoratori.
“Vogliamo combattere i privilegi. Spostiamo i
tagli alla spesa sugli investimenti per il funzionamento della
macchina statale, con una spending review che varrà 32
miliardi”. Mi sforzo davvero di individuare quali possano essere i
privilegi e le incrostazioni che si annidano nella scuola. Forse
Delrio dovrebbe chiederlo ai precari che ieri hanno
scioperato: precari esistenzialmente e professionalmente, non
stabilizzabili in alcun modo (come ha affermato Giannini),
nonostante lo Stato abbia per anni fatto andare avanti la scuola
attraverso il loro lavoro.
Non siamo ancora emersi dalla politica di
“razionalizzazione e semplificazione” (termini peraltro riproposti
da Delrio) dell’art. 64 della legge 133/08 (la sedicente riforma
Gelmini), la “cura da cavallo” – come ebbe a definirla
l’immeritevole ministro – che è costata 145 mila posti di lavoro,
tagli e accorpamento delle classi di concorso, aumento del numero di
alunni per classe, distruzione del modello didattico-pedagogico del
tempo pieno e del tempo prolungato, diminuzione delle ore di scuola
e dei saperi (dunque di diritto allo studio e all’apprendimento per
gli studenti), indebolimento socialmente determinato del segmento
più debole della scuola superiore, l’istruzione professionale,
sconfessando qualsiasi principio costituzionale, ugualitario ed
inclusivo; taglio del sostegno e ancor di più degli insegnanti
tecnico pratici. Alla mattanza del trio Gelmini-Brunetta-Tremonti è
seguita, con programmatica consapevolezza, la continuazione del
“lavoro sporco” che i tre avevano trionfalmente inaugurato e portato
avanti, con una serie di provvedimenti dei governi a seguire, tra
cui spicca la legge 111/11 sul dimensionamento, che ha creato
istituti-mostro con non meno di 1000 alunni, nelle condizioni che si
è detto, con personale Ata insufficiente, reggenze multiple di
dirigenti scolastici spesso inadeguati alle proprie funzioni,
peraltro non facili. Molto altro ancora: insieme alla Lituania,
siamo l’unico Paese europeo che ha disinvestito sulla scuola dal
2008, anno dell’inizio della crisi.
Inoltre il nostro contratto: i salari dei docenti sono fermi dal
biennio economico 2008/2009. Nel 2010 sono stati azzerati anche gli
scatti stipendiali, con l’ignobile manfrina che ne è seguita
quest’anno. Si ventila che il blocco contrattuale durerà ancora a
lungo, con un potere d’acquisto sempre inferiore. Incombe ancora
sulla scuola il problema degli inidonei e di Quota 96.
La scuola non è luogo di privilegio. La scuola pubblica italiana
è per molti versi il privilegio di questo Paese: resiste, producendo
in gran parte cultura e cittadinanza critica e consapevole,
nonostante i tentativi di distruggerla. Non dobbiamo permettere
l’ennesima incursione di una visione ragionieristica e neoliberista,
finalizzata a sottrarre educazione ed emancipazione per aggiungere
piccoli “più” sul bilancio.
da
ilfattoquotidiano.it, blog Marina Boscaino,12 aprile
2014