Chiara, 
											prigioniera in Arabia dell'ex marito 
											musulmano
											
											
											di Maria Corbi
											
											L’ amore che vince tutto, abbatte 
											frontiere, differenze, culture. 
											Forse. Ma non nella storia di 
											Chiara. Non in tante storie 
											ambientate in Paesi ostili al 
											diritto, all’eguaglianza tra i 
											sessi, alla libertà. Chiara ci ha 
											provato per amore di un uomo di 
											Gedda, in Arabia Saudita, e ha 
											perso.
											
      
											 
											L’inizio è stato 
											facile con un principe azzurro in 
											caftano bianco, rampollo di una 
											delle potenti e ricche famiglie 
											dell’Arabia Saudita. Lei, Chiara, 
											oggi 40 anni, si innamora, forse del 
											sogno, e gli dice sì. Tre anni fa le 
											nozze e l’ingresso nel palazzo di 
											famiglia dove le donne sono solo 
											ospiti anche se mogli. Chiara non 
											può arredare la casa come piace a 
											lei, deve cancellare tutti gli amici 
											maschi di Facebook, anche quelli che 
											non vede dall’asilo, deve adeguarsi 
											al rigido codice di comportamento 
											imposto alle donne.
											
											Presto iniziano i litigi, la 
											consapevolezza e la paura di vivere 
											in un lusso privo di libertà, quindi 
											una miseria nera se sei educata in 
											Occidente. E alla fine lui la 
											ripudia secondo la tradizione 
											islamica. Ma non c’è nessun nuovo 
											inizio, le ali di Chiara non possono 
											ancora volare verso casa, ad 
											Alessandria, in Italia. Il marito 
											non le riconsegna il passaporto e 
											senza il suo assenso la donna non 
											può lasciare il Paese. Sequestrata.
											
											La diplomazia è entrata in gioco, e 
											sta lavorando cercando di ricucire 
											una situazione delicatissima. Chiara 
											è in Arabia, ancora libera di 
											circolare con il padre anziano che 
											le fa da autista, mentre soltanto la 
											madre è riuscita a tornare in 
											Italia. L’ex marito vuole indietro 
											dei soldi, una somma cospicua che le 
											avrebbe versato su un conto quando 
											ancora c’era l’amore.
											
											Dalla sua «prigione» Chiara scrive 
											un memoriale per urlare al suo Paese 
											e al mondo la disperazione. Racconta 
											di quando ha conosciuto il suo uomo 
											in Europa ed era una persona 
											amabile, «un’altra persona». Ma a 
											Gedda i modi dell’uomo - 
											vicepresidente della società di 
											famiglia che distribuisce tra le 
											altre cose, beni di lusso 
											occidentali - modi e maniere 
											cambiano. Quando voleva insultarla 
											il marito le urlava con disprezzo 
											«cristiana».
											
											Da marzo Chiara è «prigioniera» 
											assieme al padre e continua a 
											portare il velo e la tunica nera 
											imposte dalla legge. Ad aprile cerca 
											di fare ragionare l’ex marito e 
											accetta un invito a cena. Ma le cose 
											precipitano. Lui ha un attacco di 
											gelosia e di ira e la prende a 
											schiaffi e pugni, la trascina usando 
											come cappio il velo, le sale sul 
											petto con le ginocchia, la minaccia.
											
											Il marito non cede, rivuole indietro 
											il denaro che aveva dato alla 
											moglie. Altrimenti, aggiunge come 
											ricatto, non metterà la sua firma 
											sul lasciapassare. E non è una 
											formalità. Ogni straniero, non solo 
											le donne, in Arabia Saudita, dipende 
											da uno «sponsor», che può essere 
											solo saudita e ha il diritto di 
											impedirti di lasciare il Paese.
											
											Per questo motivo neanche 
											l’intervento del console italiano a 
											Gedda, che ha rilasciato nuovi 
											passaporti a Chiara e al padre, 
											riesce a sbloccare la situazione. 
											Chiara va alla polizia e attraverso 
											l’ambasciata si fa assistere da un 
											avvocato, Ahmad Faisal Yamani, 
											nipote dell’ex potente ministro del 
											petrolio saudita. E la situazione in 
											Tribunale, dove si applica la 
											sharia, non fa certo sperare in un 
											giudizio equo. Chiara deve assistere 
											al procedimento da uno stanzino 
											buio, separata dagli uomini. In 
											quell’area del Tribunale, in quel 
											recinto rosa, scorge una donna 
											interrogata da due giudici e le 
											viene in mente la Santa 
											Inquisizione.
											
											Il marito dopo la denuncia sembra 
											disposto ad un accordo, a concedere 
											la libertà in cambio di un assegno, 
											di quanto ritiene di dovere avere. 
											Si attende anche l’intervento 
											dell’ambasciatore saudita in Italia. 
											Poi salta tutto. L’uomo ci ripensa e 
											alza la posta minacciando Chiara di 
											denunciarla per appropriazione 
											indebita e adulterio, che in Arabia 
											Saudita è punito conla pena di 
											morte.
											
											La strada è in salita e Chiara, 
											scrive nel memoriale, adesso si 
											affida al re: «Ho fiducia nel re che 
											è uomo illuminato e giusto. Spero 
											che la pubblicazione della mia 
											storia serva a smuovere i livelli 
											alti della diplomazia, perché dopo 
											cinque mesi di trattative e false 
											speranze, inizio a vacillare». 
											L’amore non ha vinto.
											
											
											La Stampa.it 04-09-2012