Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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La scuola statale è l’Agorà di incontro dei nostri giovani, dei genitori, dei docenti e la preziosa garanzia di una unità della Nazione

Sembra che l’Italia di oggi abbia rinunciato alla formazione dei propri giovani, al Sapere, alla Cultura. Questo dimostra, più d’ogni altra cosa, il rozzo rattoppamento che il nostro esecutivo sta operando in ambito scolastico dopo una legge di “riforma” che è stata approvata in soli nove minuti. Una Riforma della scuola elementare e media che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe stata studiata a fondo ed elaborata da un Osservatorio di specialisti, da gruppi di pedagogisti e psicologi coadiuvati dalla preziosa presenza degli insegnanti. In Italia ha visto solo il frettoloso decreto imposto al Parlamento con voto di fiducia. Nessuna discussione, nessun approfondimento. Nella recente trasmissione di Riccardo Iacona su Rai Tre il preside della facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Bologna apre le braccia sconsolato: un gesto eloquentemente critico sulla totale mancanza di coinvolgimento delle realtà di studio più qualificate nella stesura di un piano di riforma e sulla pericolosa fretta che ha caratterizzato questo intervento legislativo. Nove minuti di non-sense. Sono bastati nove minuti per far calare il buio sul destino del nostro Paese, un tempo Olimpo delle Arti e della Musica. Non credere e non investire nella formazione e nella scuola non è una semplice mancanza di sensibilità, è molto di più. E’ un delitto contro le nuove generazioni e contro il Paese, è un depauperamento delle sue risorse più preziose, è una scelta che ci condurrà definitivamente verso una decadenza civile ed economica di cui già ora cominciamo a saggiare i primi effetti.

L’ignoranza nei secoli è stata sempre funzionale ad un certo tipo di Potere e coltivata da tiranni e governanti senza scrupoli, ma gli esiti di tale condotta sono sempre stati nefasti nell’immediato e nel futuro e difficilmente recuperabili. Nello Stato post unitario la nascente scuola pubblica, carica di spinte ideali per combattere l’analfabetismo della popolazione, era fortemente contrastata perfino dalla chiesa che fino a quel momento era stata protagonista indiscussa dell’educazione dei fanciulli, anche di quella caritatevole verso i più poveri. Papa Pio IX pensando evidentemente si potesse infrangere quell’assolutismo educativo non esitò a definire la pubblica istruzione un percorso diabolico. Nell’Italia pre fascista quasi il cinquanta per cento della popolazione era analfabeta e questo ci dice molto sul terreno culturale in cui si verificò quella rovinosa ascesa. Inoltre le aspirazioni pedagogiche del Min Cul Pop erano infarcite di ideologia e fortemente vocate alla formazione della pura razza italica. Seguirono le epurazioni dei docenti e tutto il resto. Bisognerà dunque attendere il secondo dopoguerra perché la scuola pubblica ritrovi la sua dignità e riavvii efficacemente quel processo profondo di unificazione culturale del Paese così brutalmente interrotto. Nei decenni a venire la Pubblica Istruzione pur rimanendo una roccaforte strategica della democrazia cristiana - che non l’ha mai ceduta in qualunque maggioranza – fu comunque coinvolta dai venti del cambiamento: dalla contestazione alla sperimentazione. I Decreti delegati, pur nelle loro contraddizioni portarono poi un vento di democrazia e di vivace discussione in una scuola che era complessivamente statica ed ancora figlia della fissità gentiliana. Oggi, nella luminosa era berlusconiana rischiamo il suo totale smantellamento con la complicità di un’opinione pubblica che spara qualunquisticamente a zero sull’Istituto scolastico, utilizzando i più beceri luoghi comuni, senza pretendere invece una scuola qualificata e qualificante.

Le contraddizioni, insite nell’attuale “non progetto” figlio di uno spirito incolto e miopicamente contabile, stanno emergendo drammaticamente e la scuola ne rimane soffocata. La situazione finanziaria delle scuola italiane, tutte in credito con lo Stato, è talmente insostenibile che alcuni dirigenti solastici stanno minacciano di “consegnare le chiavi” ai prefetti per mancanza assoluta di fondi. Le condizioni in cui versa poi l’edilizia scolastica peggiorano di giorno in giorno.

I genitori dei nostri ragazzi, ormai vicini alle iscrizioni, intravedono il caos che li sta minacciando e preferiscono fuggire verso la scuola privata che intanto sta preparando “pacchetti” compensativi alle voragini culturali del Decreto. Gli stessi Collegi dei Docenti con i loro presidi hanno serie difficoltà a disegnare un futuro certo, sia logisticamente che, ancor meno, didatticamente. Anche la sacrosanta pretesa di continuità didattica non potrà essere garantita in molte scuole, a causa della contrazione del personale docente e non docente, dell’aumento di alunni per classe, della diminuzione di ore curricolari (sei nella scuola elementare e tre nella media).

Con la dismissione che si sta portando a compimento della scuola pubblica, si mette in atto un altro scellerato processo intorno al quale pochi osservatori hanno lanciato l’allarme ossia è la dissoluzione di quel collante culturale e sociale che ancora oggi essa rappresenta. Il più importante riferimento nel nostro martoriato Paese: dal più alto paesino della Val d’Aosta a Lampedusa l’Istituzione scolastica è il tessuto connettivo, è l’Agorà di incontro dei nostri giovani, dei genitori, dei docenti e la preziosa garanzia di una unità della Nazione. Smantellare con ignoranza o con perversa lucidità tale patrimonio significa distruggere l’Unità sociale e culturale del nostro Paese, è un maleficio che alla lunga si torcerà contro anche a chi l’ha progettato poiché equivale ad avvelenare l’ambiente in cui si vive.

Alessandro Anniballi

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