Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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Alla ricerca della pace fra arabi ed israeliani

Agli italiani piace parlar male del proprio Paese, sostituendo spesso la denigrazione al patriottismo. Non sono soli perché anche nello Stato d’Israele alcuni eminenti intelletuali mettono in discussione non soltanto la sua politica, ma anche le sue radici storiche e ideologiche, cioè la storia biblica e i fondamenti dello Stato.

In Italia, poi, il giudizio non appare equilibrato: la maggior parte degli ebrei è portatrice di una “difesa d’ufficio” dello Stato d’Israele accusando di antisemitismo quanti criticano il sionismo (cioè il nazionalismo ebraico) e considerando la contestazione della politica governativa di Tel Aviv quale contestazione dello Stato d’Israele (è evidente la confusione tra il Governo, di per sè transitorio, e lo Stato, di per sè permanente).

D’altra parte, una larga fetta della Sinistra ha scelto di appoggiare la causa palestinese, nonostante il terrorismo e l’intransigenza che la caratterizzano. Sono due posizioni non razionali. Non si tratta di essere filo-israeliani o filo-palestinesi. Si deve ragionare “au dessous de la melèe” cercando di individuare alcuni punti essenziali:

1) il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, patria nazionale, non può essere subordinato alle sue scelte politiche e ai suoi discutibili comportamenti.

2) i governi d’Israele, succedutisi nel tempo, debbono rispettare le risoluzioni dell’ONU (restituzione di territori occupati dopo la guerra dei Sei Giorni, ecc.)ed evitare rappresaglie militari sproporzionate, omicidi mirati, limitazioni dei diritti umani dei palestinesi,ecc.

3) la guerra permanente fra arabi ed ebrei crea una frustrazione, che ha indotto una piccola frazione della popolazione a lasciare Israele evitando la minaccia di essere annientata.

4)il mito, la rivendicazione, il passato incidono negativamente sulle nuove generazioni, suscitando malinconia per quanto si è perso costruendo (dalla realtà socialista dei “kibbutz”in crisi negli Anni 80 al “business” illecito dei politici).

5) le Autorità laiche dovrebbero impedire l’insegnamento razzista dei rabbini nelle “jeshivà” e degli imam nelle “madrasse” per evitare il fanatismo religioso e la spinta ad un regime teocratico.

6) Israele invoca, giustamente, il sostegno morale e finanziario degli ebrei della diaspora attraverso il Keren Kayemet Le Israel, il Karen Hayesod ed altri Enti, ma non tiene conto delle ripercussioni negative dei suoi errori politici e dei suoi eccessi militari sugli ebrei della diaspora.

7) il conflitto israelo- palestinese può essere risolto uscendo da una reciproca intransigenza. Gli arabi non possono pretendere il ritorno massiccio dei profughi nei territori abbandonati nel 1947, poichè ciò significherebbe la fine dello Stato ebraico (un risarcimento finanziario potrebbe tacitari discendenti dei profughi).

Gli ebrei dovrebbero rappacificarsi con la Siria restituendole le alture del Golan (occupate dal 1981 ed abitate da circa 40 mila coloni israeliani), rinunciare all’assurda presenza di un piccolo gruppo di fanatici nella città di Hebron, consentire che il futuro Stato palestinese abbia per capitale Gerusalemme Est (abitata in maggioranza dagli arabi).

A loro volta i palestinesi dovrebbero rinunciare al metodo della violenza (i Kamikaze, i missili sparati da Gaza, la propaganda antisemita sin dalle scuole elementari), che provoca una spirale di ritorsioni, lutti e rancori. L’unica terapia è il dialogo, poichè in questa tragedia che dura da 60 anni non c’è spazio per vinti e vincitori.

La ragione non è tutta da una parte per cui è necessaria un’autocritica che disperda le mistificazioni e cerchi con realismo un compromesso finalizzato alla pace e alla convivenza.

Sicor (L'Incontro, maggio 2008)

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