Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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LA POVERTA' NON SI RISOLVE CON LA CARITA', MA CON UNA POLITICA DI PROMOZIONE SOCIALE 

di Paolo Leon

Oltre sette milioni, o poco più dell’11% della popolazione ha un reddito di povertà “relativa”, sotto i 900 euro. Può darsi che le stime Istat nascondano errori, come quando il reddito è nascosto: Ma bisogna ricordare che l’Istat deriva la sua stima dal consumo delle famiglie non dai loro guadagni. Il consumo può, a sua volta, celare qualche differenza: Ma si tratta di eventuali piccoli errori. Abbiamo, dunque, tanti poveri, e per di più il loro numero non cambia.
La Legge Finanziaria, per il 2008, fa qualcosa in proposito, sia attraverso le pensioni più basse, sia con il contributo agli “incapienti”, cioè quelli che hanno un reddito così basso che non pagano tasse. Dubito che si tratti di interventi sufficienti, ma, come si dice, meglio di niente…
Odio questa frase: meglio di niente è peggio di niente, quando alla condizione di povertà si associa quella di sudditanza – come avviene con le misure di welfare per i poveri e i poverissimi. E’ forse vero che i poveri li avremo sempre con noi, e perciò dobbiamo attrezzarci a pensare a loro in quanto poveri. Ma non credo che questa sia la via giusta. Si tratta di cittadini che hanno diritto ad avere una vita decente: lavoro, casa, salute e istruzione sono molto più in linea con il diritto alla cittadinanza che non il sussidio di povertà. Sottinteso al sussidio, invece, è che lavoro, casa, istruzione e sanità devono essere lasciati al mercato, che è un distributore efficiente, ancorché iniquo, delle risorse e dei redditi, concedendo a chi non ce la fa un po’ di soldi. In questo modo, se ci pensiamo bene, tutti diventiamo poveri, al di là del reddito guadagnato da ciascuno: il mercato, infatti, premia e punisce casualmente, a seconda della fortuna – molto più che in relazione al merito – e ciascuno può dunque passare dallo status di cittadino a quello di suddito. Vorrei anche far rilevare che il concetto di povertà relativa non assicura in alcun modo che al di sopra dei 900 euro si viva decentemente; né che, se si guarda ai redditi più elevati nella scala della gerarchia sociale, chi sta sopra i 900 euro non si consideri povero.
A me piace un diverso concetto di povertà-ricchezza - preferirei che si misurasse la disuguaglianza o l’uguaglianza, perché così s’imposta una politica: mentre se guardiamo alla povertà s’imposta la beneficenza.

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