Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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ELUANA ENGLARO: DOPO IL PRONUNCIAMENTO DELLA CASSAZIONE INTERVENGA LA POLITICA

di Chiara Acciarini*

Quindici anni, 5.390 giorni, chissà quanti milioni di minuti. Da tanto dura la tragedia di Eluana Englaro, la ragazza dal volto aperto e sorridente caduta in uno stato vegetativo permanente a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 1992 e tenuta in vita solo grazie a un sondino nasogastrico che l’alimenta e la idrata. E da tanto dura il calvario dei suoi genitori che, amandola e soffrendo con lei, chiedono che quel sondino venga staccato. Otto ricorsi e tutti i gradi di giudizio sino alla Cassazione che, infine, si è espressa: il paziente non ha il dovere di vivere o meglio ha il diritto di morire. Il processo di appello, dunque, va riaperto. Quella della Corte Suprema è una sentenza sicuramente coraggiosa e pertanto destinata ad accendere polemiche ma a leggerne con attenzione il dispositivo ci si trova di fronte a valutazioni oltremodo equilibrate che lungi dall’essere utilizzate come detonatori per dar fuoco alle polveri dovrebbero piuttosto concorrere ad avviare un dibattito etico e politico finalmente sereno e condiviso. Nei casi come quelli di Eluana, dice la sentenza, il giudice può “autorizzare la disattivazione” del sondino ma solo là dove ricorrano due condizioni assai precise. La prima, di carattere “tecnico”, è relativa all’accertamento dell’irreversibilità dello stato vegetativo da condursi sulla base di “un rigoroso apprezzamento clinico” che, con tutta evidenza, non può darsi senza la fissazione di parametri scientifici da recepire poi formalmente in appositi protocolli. Da questo punto di vista reputo particolarmente degna di nota la decisione del ministro Turco di istituire una commissione tecnica di alto profilo che definisca, come per la morte cerebrale, la soglia del coma irreversibile. Vi è poi la seconda condizione, quella in base alla quale la decisione di lasciar morire il paziente “sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo”. Elementi di prova, specifica la sentenza, che devono essere tratti “dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai suoi convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti”. Affinché il giudice possa intervenire deve esserci, dunque, l’assoluta certezza che “il paziente, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”. In caso contrario, dovrà essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita.
Ed è qui che entra in campo la politica. Dopo un anno di lavoro, 49 audizioni e almeno una decina di ipotesi di disegno di legge, la normativa in materia di anticipata volontà - il testamento biologico, per intenderci - è ancora al punto di partenza. Il suo iter parlamentare sconta infatti, da un lato, il persistere di atteggiamenti iper-ideologici che - per dirla con Stefano Rodotà - “fingono di voler rispettare l’umanità delle persone e, invece, vogliono impadronirsene” e, dall’altro, l’arretratezza di un dibattito all’interno del quale ancora si confondono tra loro termini come eutanasia, accanimento terapeutico, testamento biologico e suicidio assistito. Alla politica spetta oggi il compito di fare chiarezza cominciando, per esempio, a ribadire la validità e l’irrinunciabilità di quei principi costituzionali che sanciscono la libertà personale e il diritto alla salute. A questi principi, prima di tutto, dovrebbe ispirarsi una “buona legge” sul testamento biologico; su quella “anticipata volontà”, cioè, che consentirebbe ad un individuo perfettamente lucido di stabilire da sé il modo in cui essere trattato qualora la sua lucidità venisse meno. Una volontà che non può essere ignorata se è vero, come dice la Costituzione stessa, che l’imposizione di trattamenti obbligatori “in nessun caso può varcare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ed è per rispetto della persona umana che la legge sul testamento biologico deve essere approvata in tempi brevi perché i temi della vita e della morte non accettano ulteriori rinvii. Del resto l’Italia - pur in forte ritardo rispetto agli altri paesi non solo europei - ha sottoscritto già nel 2001 la Convenzione europea di biomedicina di Oviedo che obbliga i medici a riconoscere i desideri precedentemente espressi dai pazienti. Si tratta ora di continuare su questa strada e seguire l’invito fatto dalla Cassazione al Parlamento: ratificare al più presto quella Convenzione. Chissà che in tal modo non si realizzi l’auspicio del Presidente Napolitano: “Per questa via il Parlamento può incontrare la vita, più di quanto sinora abbia saputo fare”. E che la battaglia dei genitori di Luana non sia solo il simbolo di un grande amore ma anche la vittoria di una società finalmente laica.

*Sottosegretaria alla Famiglia

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