Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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GRILLO: IL SEGNO DI UNA MALATTIA CHE AVANZA

di Michele Prospero

 E’ proprio vero che l’iniziativa di Grillo riempie un vuoto reale della politica? No, non è affatto così. Il comico che inveisce contro i politici non è un evento nuovo. Un commediografo come Guglielmo Giannini fu molto più abile 60 anni fa nell’allestire persino un partito di un certo spessore sul risentimento contro i partiti. La sua fortuna nel dopoguerra durò fin quando la confindustria lo sostenne. Con il venir meno dei generosi fondi padronali, anche il qualunquismo si dileguò. L’antipolitica infatti non può istituzionalizzarsi. Questo è il suo tallone d’Achille. Quando diventa un partito, l’antipolitica perde tutti i connotati del suo successo. Non è accaduto così anche con il fenomeno Berlusconi? Da quando Forza Italia si è istituzionalizzata come partito durevole, lo spazio politico dell’antipolitica è disponibile per altre scorribande. Grillo però non occupa un vuoto, è il vuoto che si aggiunge a una politica che da 15 anni almeno brancola nel buio.
Nel suo linguaggio imbottito di insipide cadute volgari, il comico sforna un tipico campionario della destra reazionaria. Non appartengono forse all’immaginario più intimo della destra le metafore sulla galera, sulle manette, sui partiti come cancro? Un tempo la sinistra, anche con qualche dose di ingenuità teorica, coincideva con una critica degli apparati repressivi. L’idea di un diritto penale minimo oggi farebbe scandalo. Ma questo non autorizza certo a rigonfiare le metafore politiche con insistiti richiami all’ordine, alla disciplina, alla sicurezza. Questo solo fa Grillo, e i sindaci del centro sinistra non si comportano diversamente. Cosa è successo alla cultura politica italiana? E’ accaduto una cosa sconvolgente: in Italia ha vinto il populismo come contrassegno di un’epoca. Non solo scompare ogni istanza di critica, ma anche pensare un po’ diversamente da come sente il ventre della gente è cosa disdicevole. Un po’ tutti hanno voglia di secondini, questa è la verità. I sindaci afferrano le stellette di sceriffo per spezzare le reni ai lavavetri. Grillo invoca la galera per riformare la politica. C’entra davvero poco con la cultura della legalità la sua richiesta di non consentire l’elezione di deputati con precedenti penali.
La cultura della legalità implica infatti sottigliezza analitica, gusto per le differenza, cura dei particolari. Insomma il contrario della macchina forcaiola e della spicciola demagogia. E poi cosa significa escludere dalle istituzioni i politici con condanne alle spalle? In galera ci rimase a lungo Terracini che ha firmato la costituzione repubblicana. Pajetta, Pertini, Lombardi hanno trascorso lunghi anni nelle patrie galere. Tutti ineleggibili? E i radicali che hanno ricevuto condanne penali per ottenere nuove leggi sull’aborto, la contraccezione, l’obiezione di coscienza sono tutti avanzi di galera da escludere da Montecitorio per legge?  Grillo non colma una mancanza, è il segno di una malattia che avanza e alla quale la politica non sa trovare una risposta. La malattia contagiosa è il populismo che impedisce il civismo democratico, la politica come responsabilità diffusa. Alla crisi italiana gli stati maggiori dei partiti hanno ritenuto di rispondere con le primarie per creare un nuovo partito leggero. Ma le primarie per consegnare il partito democratico a un leader impalpabile non sono un antidoto al populismo, sono anch’esse una componente essenziale del ciclone antipolitico.
Se all’antipolitica e al populismo si riuscirà un giorno a dare una risposta efficace, e la cosa non è affatto scontata, essa non potrà che fondarsi sulla reinvenzione di cose antiche. Un radicamento sociale per i partiti, anzitutto, per riscoprire che la società presenta differenze di potere insopportabili che infiacchiscono la democrazia. E poi una identità per i soggetti politici che riassaporano il gusto dell’analisi, della cultura, delle idee. Il laboratorio politico che la sinistra deve aprire proprio su questo dovrà lavorare. La cura della malattia mortale del populismo passa di qua.

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