Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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SILENZI E RETICENZE DI PIO XII DI FRONTE ALLA SHOAH

La Chiesa diserta il Giorno della Rimembranza

di Maria Mantello

 

Sarebbe il caso di fare piena luce sulla figura e sul ruolo di Pio XII riguardo alla Shoah. Richieste in tal senso arrivano anche dal museo di Gerusalemme, Yad Vashem, che si è visto contestare dal nunzio apostolico della città una didascalia su papa Pacelli. La vicenda delle responsabilità del papa nella shoah, sono tornate nuovamente alla ribalta in occasione dell’annuale commemorazione in Israele dello sterminio degli ebrei. Al Giorno della Rimembranza partecipano ormai da anni, e sempre più numerosi, i massimi rappresentanti di tutti gli Stati. Quest’anno, però si dovrà fare a meno del Vaticano: il nunzio apostolico, mons. Antonio Franco ha motivato la sua assenza perchè allo Yad Vashem è esposta una foto di Pio XII con una legenda che ne definisce ambiguo il ruolo negli anni tragici dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti e dei loro collaborazionisti.

Riportiamo il testo della didascalia (fonte: www.yadvashem.org): “La reazione di Pio XII all’uccisione degli ebrei durante la Shoah è una questione controversa. Nel 1933, quando era Segretario di Stato Vaticano, si attivò per ottenere un Concordato con il regime tedesco per preservare i diritti della Chiesa in Germania, anche se ciò significò riconoscere il regime razzista nazista. Quando fu eletto Papa nel 1939, accantonò una lettera contro il razzismo e l’antisemitismo preparata dal suo predecessore. Anche quando notizie sull’uccisione degli ebrei raggiunsero il Vaticano, il Papa non protestò né verbalmente né per iscritto. Nel dicembre 1942, si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati che condannava lo sterminio degli ebrei. Quando ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne. Il Papa mantenne una posizione neutrale per tutta la guerra, con l’eccezione degli appelli ai governanti di Ungheria e Slovacchia verso la fine. Il suo silenzio e la mancanza di linee guida costrinsero il clero d’Europa a decidere per proprio conto come reagire ” Un giudizio assai blando, se pensiamo alle documentatissime ricerche storiche, anche recenti (cfr: 2000G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, 2000; J. Corwell, Il papa di Hitler; D. I. Kertzer, I papi contro gli ebrei, 2002) che danno un quadro assai inquietante sulle responsabilità dei vertici più alti delle gerarchie vaticane e di Pio XII. Ma anche sul nesso tra cristianesimo ed antisemitismo, formidabile terreno di coltura culminato nella Shoah (cfr: Maria Mantello, Ebreo, un bersaglio senza fine, 2002).

Tuttavia la linea assai tenera adottata verso Pio XII dal museo storico sulla shoah di Gerusalemme non è stata apprezzata dal Vaticano, che l’ha contestata fin da quando la didascalia è stata posta nel 2005. La direzione dello Yad Vashem, aveva risposto alle rimostranze ufficiali vaticane che sarebbe stata ben disposta a modificare la scritta che sottolineava le responsabilità di Pacelli nella Shoah, ma solo in presenza di fatti storici nuovi. E per questo aveva chiesto anche la collaborazione della Santa Sede con la conseguente apertura degli archivi segreti vaticani su Pio XII. La richiesta è restata però inevasa. Adesso, in occasione del 15 aprile del 2007, Giorno della Rimembranza per i martiri e gli eroi della Shoah, mons. Antonio Franco, nunzio apostolico a Gerusalemme, ha fatto sapere di non poter partecipare alla commemorazione del genocidio degli ebrei: «Mi fa male andare allo Yad Vashem e vedere Pio XII così presentato. Si potrebbe togliere la foto o cambiare la didascalia. Certamente il Papa non può essere messo in mezzo a uomini che dovrebbero vergognarsi per quanto compiuto contro gli ebrei. Pio XII non dovrebbe vergognarsi per tutto quello che ha fatto per la salvezza degli ebrei, messo in risalto da fonti storiche».

Il direttivo dello Yad Vashem ha comunicato di essere «scioccato e deluso dal fatto che il rappresentante del Vaticano in Israele abbia scelto di non rispettare la memoria dell’Olocausto, e di non partecipare alla cerimonia ufficiale con cui lo Stato di Israele e il popolo ebraico ricordano le vittime.». Ed ha sottolineato: «Questa è una questione molto sensibile, che deve essere esaminata a fondo.... ma la storia non si può cambiare, e certe personalità non riuscirono ad aiutare gli ebrei durante l’Olocausto, questa è la realtà. Ci sono nazioni che hanno assunto le proprie responsabilità durante l’Olocausto, e altre che non l’hanno fatto. Il Vaticano non ha partecipato attivamente allo sterminio degli ebrei, ma rimangono degli interrogativi sulla condotta del Papa». Anche il Ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, è intervenuto sulla vicenda: "La cerimonia allo Yad Vashem ha il fine di onorare la memoria delle vittime della Shoah, l'evento più traumatico nella storia del popolo ebreo e tra i più traumatici nella storia dell'Umanità. Per quanto riguarda la partecipazione alla cerimonia, ciascuno si comporti secondo ciò che gli dice la sua coscienza".

 

Pio XII e gli ebrei

(tratto da Maria Mantello, Ebreo. Un bersaglio senza fine. Storia dell’antisemitismo, Scipioni editore, 2002)

Eugenio Pacelli prese il nome di Pio XII, per sottolineare la continuità della sua azione ecclesiastica con quella del predecessore. Egli era stato, per conto di Pio XI, l’artefice del Concordato con Hitler, che a quel patto aveva subito dato il significato di lotta all’ebraismo mondiale.

Pacelli aveva appoggiato tutti i fascismi: Mussolini, gli ustascia croati, Salazar e Francisco Franco, per la cui vittoria contro il fronte dei democratici in quello stesso 1939 esultava: I disegni della Provvidenza, amatissimi figlioli, si sono manifestati ancora una volta sulla Spagna eroica, nazione eletta da Dio a principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica. (radiomessaggio agli spagnoli del 16 aprile 1939).

(...) Pochi giorni dopo dalla sua incoronazione, Pacelli scriveva ad Hitler per ricordare con cara memoria la collaborazione di quando era stato Nunzio Apostolico in Germania, affinché questa potesse ora, in ispirito di pronta collaborazione e vantaggio delle due parti, giungere a un salutare sviluppo.

Il concordato che Pacelli ricordava con “cara memoria“ ad Hitler era stato firmato il 20 luglio del ’33, sei giorni dopo l’approvazione della legge sulla sterilizzazione degli “affetti da malattie ereditarie”, categoria in cui sarebbero stati accreditati anche gli oppositori politici del nazismo.

Che il razzismo fosse l’essenza del nazionalsocialismo, Adolf Hitler lo andava enunciando già dagli anni ‘20. I suoi primi atti di governo, non erano altro, dunque, che la messa in pratica di quanto aveva scritto nel Mein Kampf: Lo Stato nazionale…deve mettere la razza al centro della vita generale. Deve preoccuparsi di conservarla pura. Deve fare in modo che solo chi è sano generi figli, che sia scandaloso il mettere al mondo bambini quando si è malati o difettosi…Basterebbe impedire per secoli la capacità e la facoltà di generare nei malati di corpo e di spirito…si avrà una razza che, almeno in linea di principio, avrà eliminato i germi dell’odiena decadenza fisica e morale.

Il Concordato con la Chiesa cattolica era stato firmato pochi mesi dopo da quel 23 marzo, data in cui Hitler aveva assunto i pieni poteri in Germania. Il Vaticano era il primo paese straniero a riconoscere il governo di Hitler.

Già in aprile si cominciavano a manifestare i sinistri disegni antiebraici col “boicottaggio” delle attività commerciali e professionali (1 aprile), con l’esclusione dalla pubblica amministrazione (7 aprile), con l’introduzione del numero chiuso negli studi statali (25 aprile), con l’esclusione dalla cultura, dallo spettacolo e dall’informazione (22 settembre), con la privazione di ereditare proprietà terriere (29 settembre). Intanto le violenze e i pestaggi impuniti di ebrei e antinazisti dilagavano e dal 10 maggio si bruciavano, i libri che il regime considerava pericolosi, come quelli di A. Einstein, di Erich Maria Remarque, di Thomas Mann, di Proust, di Gide, di Zola, di Freud… solo per citare i nomi più noti.

Ecco il rogo di libri raccontato da W. L. Shirer nella sua Storia del terzo Reich:

La sera del 10 maggio del 1933, circa quattro mesi dopo la nomina di Hitler a cancelliere, ebbe luogo a Berlino, una scena a cui non si era assistito nel mondo occidentale dai tempi del tardo Medioevo. Verso la mezzanotte, una fiaccolata di di migliaia di studenti fece capo a una piazza dell’Unter den Linden di fronte all’Università di Berlino. Le torce accese furono gettate su una montagna di libri raccolti in quel luogo, e mentre le fiamme li avvolgevano altri libri venivano lanciati sul fuoco, finchè ne furono distrutti circa ventimila. Scene simili ebbero luogo anche in parecchie altre città.

Il razzismo come ideologia, la violenza come strumento erano sotto gli occhi di tutti, e Pacelli non poteva certo ignorare che quel trattamento era riservato anche a quei cattolici, come il giornalista Fritz Gerlinch, che ancora avevano il coraggio di opporsi al nazismo; a quanti militavano nel partito cattolico del Centro, su cui la Chiesa per spianare la strada al Concordato premeva perché si sciogliesse. Pacelli conosceva bene la situazione. La diplomazia lo informava anche degli ebrei che si licenziavano “spontaneamente” o si suicidavano, e di come nella Baviera cominciavano a veicolare le proposte di far studiare ad esempio gli studenti di medicina ebrei solo su malati e cadaveri ebrei, e di poter essere assistiti solo da infermieri ebrei. La situazione della Germania doveva essere già nel 1933 talmente drammatica, che perfino l’ambasciatore italiano a Berlino, Vittorio Cerruti, esprimeva il proprio raccapriccio in una sua relazione del 5 maggio indirizzata a Mussolini. Egli racccontava di essersi trovato di fronte ad uno “spettacolo poco civile e disgustoso, per il miscuglio di burocrazia e brutalità con cui veniva eseguito”.

Nel ’35 le leggi di Norimberga tolgono agli ebrei la piena cittadinanza e vietano i matrimoni con gli “ariani”.

Nel 1938, con l’annessione dell’Austria (Anschluss), inizia la colonizzazione dell’Europa da parte di Hitler, la conquista del mondo da intrapendere col successivo conflitto mondiale (costato circa cinquanta milioni di morti) da parte di una razza che si riteneva superiore: la più alta umanità sulla terra -come era scritto nel Mein Kampf- “in marcia su quella via che dall’odierna ristrettezza di spazio vitale condurrà all’acquisto di nuovo territorio…punto d’appoggio per la politica di potenza”.

Da questo momento, con il contributo dei collaborazionisti locali, senza i quali il massacro non si sarebbe potuto realizzare, si ha la “caccia agli ebrei”: alle discriminazioni seguono le deportazioni, “le uccisioni selvagge” (Einsatzgruppen), l’avvelenamento negli “autocarri a gas”…fino alla “soluzione finale”: il sistema scientifico dello sterminio con cui si intendeva far scomparire dall’Europa e dal mondo gli ebrei (...).

Durante il suo pontificato Pacelli, tramite le vie diplomatiche, i nunzi apostolici, semplici testimonianze, la stampa clandestina, riceveva continue denunce dei crimini contro gli ebrei. Ma mentre su questo taceva, si compiaceva, ad esempio, per il successo del governo fascista di Vichy in Francia e del suo maresciallo Pétain, in cui vedeva il segno del fortunato rinnovamento della vita religiosa in Francia.

Vale appena ricordare, che sarà proprio l’azione collaborazionista di Pètain a permettere che più di 76.000 ebrei francesi venissero portati a morire ad Auschwitz.

Nel 1943 gli inglesi avevano largamente diffuso un libretto che già nel titolo, Lo sterminio degli ebrei, costituiva un’equivocabile denuncia.

Forse non si sapeva dell’entità numerica del massacro, ma che esso fosse in atto non lo si poteva ignorare, lo sapevano gli alleati, lo sapeva la Croce rossa internazionale, lo sapeva il papa. Questi, nel 1942, quando l’entità della tragedia della Soluzione Finale era un dato incontrovertibile e sotto le pressioni delle ambasciate inglesi ed americane perché egli prendesse posizione, si lasciò andare nel discorso della Vigilia di Natale ad una generica pietà verso persone che senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento. (...)

Papa Pacelli almeno di un fatto crudele fu lui stesso testimone: la deportazione degli ebrei romani il 16 ottobre del 1943. A Roma gli ebrei romani, vennero praticamente arrestati sotto le sue finestre, e Pacelli tacque anche allora. Egli aveva saputo subito del rastrellamento in quell’alba del 16 ottobre del ’43, la principessa Enza Pignatelli lo aveva avvisato e Pacelli aveva avuto la conferma attraverso l’ambasciata tedesca, ma non intervenne. Sappiamo che fu informato costantemente dai vescovi locali del triste viaggio nei vagoni bestiame blindati, delle grida di disperazione, dei pianti dei bambini, ma pare che la sua preoccupazione più impellente fosse per l’impatto che la deportazione avrebbe avuto sulla Resistenza romana: sui “comunisti” a cui la assimilava. Quei comunisti contro cui, alle elezioni democratiche del 1948 lancerà la sua potente scomunica.

Il papa temeva che la imminente disfatta tedesca avrebbe aperto la strada al comunismo, e per questo vedeva con grande preoccupazione sia le azioni partigiane, sia la possibile vittoria degli angloamericani alleati della Russia comunista. L’ambasciatore tedesco in Italia, Ernest von Weizsacker nel settembre del ‘43 aveva comunicato a Berlino che era: sogno del Vaticano che le potenze occidentali riconoscessero i loro veri interessi, finchè erano ancora in tempo e agissero in comune con i tedeschi per salvare la civiltà occidentale dal bolscevismo.

Eppure a guerra finita, il papa stesso sostenne di aver difeso gli ebrei e di aver condannato il nazionalsocialismo. Niente di più falso, evidentemente il Pastor Angelicus recitava come nel film che aveva voluto su di lui e nel quale era lo ieratico attore protagonista. Molti ebrei si potettero sottrarre alla deportazione per l’aiuto generoso di semplici cittadini italiani, ma anche di molti religiosi che li accolsero. Peccato che poi a guerra finita, molti di questi stessi religiosi abbiano avuto anche il merito di ospitare e far espatriare i criminali nazisti, che proprio grazie alla via diplomatica vaticana poterono trovare sicuri lasciapassare per il sud America.

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