Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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Siamo tutti cristiani? Ma quando mai!

intervista a Piergiorgio Odifreddi

              

 

In un’epoca in cui la Libertà del singolo sembrerebbe godere di minor fortuna rispetto all’idea di appartenenza ad un omologante gruppo identitario, anche il cristianesimo appare in rilancio. Da più parti esso viene riconosciuto come forte ideologia in grado di produrre aggregazione e consensi. Ma a quale prezzo per l’autonomia e l’autodeteminazione dell’individuo?

“Cristo” è la traslitterazione dell'aggettivo greco “christos”, “unto”, scelto dalla Bibbia dei Settanta per tradurre l'aggettivo ebraico “mashiah”, “messia”, col quale i profeti dell'Antico Testamento indicavano colui che doveva venire a fondare il regno di Israele.

Tra i tanti sedicenti Cristi o Messia della storia, i Vangeli canonici identificano quello vero con “Gesù”: a sua volta la traslitterazione di “Ye(ho)shua”, “Dio salva”, un nome comune ebraico che secondo “Matteo” (I, 21) fu suggerito in sogno a Giuseppe da un angelo perchè il figlio di Maria “avrebbe salvato il suo popolo dai suoi peccati”.

“Cristiano”, che ovviamente significa “discepolo di Cristo”, nella tradizione evangelica sta dunque a indicare “discepolo di Gesù”, secondo un uso che gli “Atti degli Apostoli” (XI, 26) fanno risalire alla comunità di Antiochia.

Col passare del tempo l'espressione è poi passata a indicare dapprima una persona qualunque, come nell'inglese “christened”, “nominato” o “chiamato”, e poi un poveraccio, come nel nostro “povero cristo”. Addirittura, lo stesso termine “cretino” deriva da “cristiano”, con un uso già attestato dall'“Enciclopedia” nel 1754: secondo il Pianigiani, “perchè cotali individui erano considerati come persone semplici e innocenti, ovvero perchè,  stupidi e insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti”.

Secondo quanto sta dichiarando se ne dovrebbe dedurre che cristiano sia sinonimo di cretino. Già Giordano Bruno disse qualcosa di simile, paragonando i cristiani ad asini obbedienti che attendevano ogni loro sorte da un dio padrone e padreterno. La chiesa non gradì molto. E sappiamo quale orrenda fine fece fare al Nolano.

L’accostamento tra cristianesimo e cretinismo, apparentemente irriguardoso, è in realtà corroborato dall'interpretazione autentica di Cristo stesso, che nel Discorso della Montagna iniziò l'elenco delle beatitudini con: “Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il Regno dei Cieli” (“Matteo”, V, 3), usando una formula che ricorre anche in ebraico (“anawim ruah”) nei testi giudaici ritrovati a Qumran.

In fondo, la critica al cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo. Tale critica, di passaggio, spiegherebbe anche in parte la fortuna del cristianesimo: perchè, come insegna la statistica, metà della popolazione mondiale ha un'intelligenza inferiore alla media(na), ed è dunque nella disposizione di spirito adatta a questa e altre beatitudini.

Qualcuno, come noto, disse tempo fa che in quanto europei non potremmo non dirci cristiani. A questa affermazione oggi vanno appellandosi quanti vorrebbero porre il cristianesimo a base della stessa civiltà occidentale. Che ne pensa?

Benchè perfettamente soddisfacente nelle sue conclusioni, la critica etimologica, che ho appena fatto, sarebbe però facilmente rimuovibile da coloro che trovassero la sua argomentazione troppo debole: in fondo, in quanto “europei” siamo anche letteralmente “di faccia larga”, dal greco “eurys ops”, ma questo non ci basta per dedurre che allora abbiamo tutti un'espressione cretina, e dunque come europei non possiamo non dirci cristiani (anche se qualcuno l'ha fatto, con argomenti non molto più articolati).

Se vogliamo arrivare in maniera convincente alle stesse conclusioni, e cioè che il cristianesimo è indegno della razionalità e dell'intelligenza dell'uomo, dovremo allora caricarci sulle spalle le Scritture e percorrere la “via crucis” di una loro esegesi: non soltanto dei Vangeli, ma anche di ciò a cui essi si sono ispirati in precedenza, e che hanno a loro volta ispirato in seguito, dalla “Genesi” al “Catechismo”.

Cosí come, se vogliamo dimostrare che il cristianesimo ha costituito non la molla o le radici del pensiero democratico e scientifico europeo, bensí il freno o le erbacce che ne hanno consistentemente soffocato lo sviluppo, dovremo turarci il naso e ripercorrerne la storia maleodorante del sangue delle vittime delle Crociate, e dei fumi dei roghi dell'Inquisizione.

E per evitare che questa storia si possa troppo facilmente dismettere come “cosa d'altri tempi”, basterà ricordare che anche la nostra epoca ha le sue Crociate e le sue Inquisizioni, perchè conquistare i pozzi di petrolio dei musulmani o fare referendum contro le biotecnologie non è troppo diverso dal liberare il Santo Sepolcro dagli infedeli o processare l'eliocentrismo. Soprattutto quando il Dio che “lo vuole” o “è con noi” è sempre lo stesso, e il suo nome non solo si invoca nelle chiese, ma si incide sulle fibbie naziste e si stampa sui dollari statunitensi. 

In questo giudizio assimila tutte le forme di cristianesimo?

Non si tratta, naturalmente, di fare di ogni erba un fascio, benchè la Chiesa Cattolica sia riuscita nel Novecento a fare con ogni fascio un concordato. Terremo dunque distinte le posizioni delle varie denominazioni del cristianesimo, ma ci concentreremo naturalmente sul cattolicesimo: non certo per le sue immaginarie pretese di costituire la varietà autentica della religiosità cristiana, bensí per le sue reali capacità di condizionare la vita politica, economica e sociale delle nazioni del Sud Europa e del Sud America (non a caso, le più arretrate dei loro continenti).

Se il problema è quello dell’alleanza tra religione e potere politico, basterebbe incrementare la base laica della democrazia. Non crede?

In fondo, è proprio perchè il cristianesimo in generale, e il cattolicesimo in particolare, non sono (soltanto) fenomeni spirituali, e interferiscono pesantemente nello svolgimento della vita civile di intere nazioni, che i non credenti possono sempre rivendicare il diritto, e devono a volte accollarsi il dovere, di arginare le loro influenze: soprattutto quando, come oggi, l'anticlericalismo costituisce più una difesa della laicità dello Stato, che un attacco alla religione della Chiesa. 

In condizioni normali, una tale difesa sarebbe naturalmente compito delle istituzioni. Purtroppo, però, questi sono invece tempi anormali e anomali, in cui presidenti, ministri e parlamentari fanno a gara per genuflettersi di fronte a papi, cardinali e vescovi, e ricevono man forte dagli apostati non solo del comunismo e del socialismo, ma addirittura del risorgimento: tocca dunque ai cittadini comuni doversi far carico della difesa del laicismo, per ovviare alle deficienze dei loro rappresentanti.

Per utilizzare il titolo programmatico del suo ultimo libro, “Il matematico impertinente”, potremmo dire che Piergiorgio Odifreddi si è fatto carico di assumere l’impertinenza a strategia d’indagine metodologica per contrastare il confessionalismo spesso di comodo di tanti intellettuali e politici?

E, nella fattispecie, tocca a un matematico farsene carico, per ovviare questa volta alle deficienze dei filosofi. Soprattutto di quelli che a parole si dichiarano laici, ma nei fatti risultano essere più papisti del papa: una bella impresa, tra l'altro, visti i papi che corrono. E naturalmente un matematico non può non fare omaggio, almeno nel titolo,  al più illustre dei suoi predecessori: il Bertrand Russell di “Perchè non sono cristiano”, che nel 1957 fece il controcanto al “Perchè non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce. Ovvero, ogni epoca ha non solo i suoi filosofi collaborazionisti, ma anche i suoi matematici resistenti.

Adesso mi viene in mente Soren Kierkegaard, che già a metà ‘800 criticava i sepolcri imbiancati, gli ipocriti della fedi cristiane che si sono serviti della religione per fare affari. Mentre il rapporto col divino può e deve essere riportato esclusivamente ad un fatto di fede. E la forza della fede sta proprio nell’essere  un paradosso logico al di fuori di ogni razionalità possibile. A questa posizione ancora si richiamano tanti credenti, che contestano gli apparati clericali, che vogliono  fede e potere separati. Costoro non hanno nessuna diffoltà ad ammettere l’irrudicibilità di fede e ragione. Ma tuttavia, proprio grazie alla cogente arazionalità della  fede, ne rivendicano la sua totale indipendenza. Che ne pensa?

L'assonanza col motto di Soren Kierkegaard “non possiamo essere cristiani” è soltanto pura omofonia: sta infatti a indicare non l'inadeguatezza del fedele, che gli impedisce di raggiungere un autentico rapporto personale con Cristo, ma l'assurdità della fede cristiana stessa, che pretende di continuare a propinare all'uomo occidentale contemporaneo stantii miti mediorientali e infantili superstizioni medioevali.

Andiamo dunque insieme alla scoperta di questi miti e di queste superstizioni, per mostrare candidamente che non tutto va per il meglio nella (sedicente) migliore delle fedi possibili. Se poi i panglossiani “credini” e “iddioti” manterranno ottimisticamente il loro credo e il loro iddio, saremo tutti felici: in fondo, e anche in principio, l'ateismo non è una fede, e non fa opera di sconversione. Rivendica soltanto, cristianamente, di poter dare alla Ragione ciò che è della Ragione. E non dimentica, volterianamente, che bisogna coltivare il proprio giardino.

Insomma lei ritiene con Bruno, Feuerbach, Freud, Russell (per citare i nomi più noti) che solo con la fine dell’illusione religiosa ci potrà essere un reale progresso per la mente umana?

Esattamente. La scienza inizia dove finisce la teologia, che poi altro non è che un puro gioco linguistico tra supposte idee.

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