Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

 

Requires Acrobat Reader.


ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL LIBERO PENSIERO "GIORDANO BRUNO" 

Fondata nel 1906

Aderente all' Union Mondiale des Libres Penseurs - International Humanist and Ethical Union

Presidenza nazionale e Presidenza sezione di Roma - Coordinamento Web :

prof.ssa Maria Mantello,


Roma

e.mail

 

Presidenza Onoraria e Sezione di Torino:

avv. Bruno Segre


Torino

e.mail , e.mail2


 

 


 

 

 

 

 

Sulla pelle dei Curdi

 di Maria Mantello

 

L’accordo di Sochi del 22 ottobre 2019 tra Erdoğan e Putin – officiante per procura Trump – è l’approdo del progetto di distruzione del Rojava-Kurdistan, pianificato dal Sultano che sogna il ritorno all’impero turco. Un disegno che passa per l’archiviazione di ogni aspirazione dei curdi a un proprio Stato.

Il Kurdistan, lo stato negato costituito da milioni di curdi stanziati nelle aree di confine tra Turchia, Siria, Iraq, Iran.

Questo popolo vede ancora una volta sfumare il diritto a diventare Nazione, nonostante il suo contributo decisivo per la sconfitta dell’Isis.

Un tradimento che evoca quello avvenuto a ridosso della fine della prima guerra mondiale, nonostante i curdi, anche allora, avessero combattuto per l’Occidente contro l’Impero Ottomano.

Alla conferenza di Parigi, venivano accolti i 14 punti del presidente americano Wilson per una pace fondata su principi di eguaglianza e democrazia. Imprescindibili quindi, le aspirazioni all’autonomia dei popoli.

Per il nostro discorso, è importante ricordare che il punto 12 sanciva: «Le  nazionalità  che  vivono  attualmente  sotto  l’Impero turco devono godere una sicurezza certa di esistenza e di potersi sviluppare senza ostacoli; l’autonomia deve essere loro concessa».

Ne seguiva il trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, che riconosceva espressamente anche ai curdi  il  diritto  a  uno Stato.

Ma ben presto a prevalere furono gli interessi della Turchia, che vinta la sua guerra d’indipendenza, col trattato di Losanna del 24 luglio del 1923 vedeva il riconoscimento della Repubblica turca, mentre era vanificata la realizzazione di un Kurdistan indipendente.

Inizia la lunga storia di smembramenti, persecuzioni, deportazioni, tentativi di sterminio del popolo curdo nelle lotte di sopraffazione in questa area superbollente del Medio Oriente. Dove la coraggiosa e battagliera popolazione curda è stata utilizzata e sacrificata, ogni volta, in nome degli interessi politici ed economici su quelle terre, ricche per altro di risorse petrolifere.

Una storia che si ripete oggi, abbandonando i curdi del Rojava all’invasione del sultano.Erdoğan, che spudoratamente chiama i curdi «terroristi». E la sporca guerra che gli porta «Operazione Fonte di pace».

«Chiunque non usi questa terminologia è un traditore», ha tuonato e tuona Erdoğan, non pago di aver già riempito le galere di intellettuali e giornalisti indipendenti, ma anche di semplici cittadini che osino manifestare il minimo dissenso.

Nell’ignavia e affarismo dell’Occidente, il sultano ha sguinzagliato per cielo e per terra la sua imponente forza militare contro i Curdi della Siria occidentale (Rojava significa Occidente).

Una manifestazione di onnipotenza, contando che in quella pianura gli sarebbe servito molto meno per il suo pacifico programma: «Schiacceremo la  testa ai curdi!».

Un antico motto curdo recita: «Ci è amica solo la montagna». Già, la montagna, come sapevano bene anche i nostri Partigiani che sulle montagne trovavano rifugio e dalle loro altezze potevano controllare gli spostamenti dei nazifascisti e realizzare contro di essi le loro azioni di guerriglia.

E popolo di guerriglieri sono i curdi, che nel Rojava hanno stanato casa per casa i miliziani dell’Isis.

Le donne curde in prima linea sono diventate il simbolo della lotta ai tagliatori di teste, ma anche dell'emancipazione e autodeterminazione della libertà mondiale delle donne.

Rojava, la regione che comprende i cantoni di Kobane, Afrin e Cizre. Il più grande insediamento curdo. Un modello di libertà e giustizia. Nell’affermazione della laicità, dei diritti umani, delle effettive pari opportunità per le donne. Insomma un modello di società democratica effettiva: nel pubblico e nel privato. Una amministrazione libera per un popolo libero.

Scomodo, troppo scomodo quel vento di libertà, in quell’area geopolitica di teocrazie islamiche. Di cui il patriarcato sessista e gerarchico è fondamento mezzo fine per il più rigido controllo sociale.

Rojava è giustamente l’orgoglio dei curdi e dovrebbe esserlo anche per l’Occidente, che al contrario traffica con califfi, sultani, ayatollah.

E forse non è solo questione di affari, visti i leader politici e capi di stato occidentali che ostentano maschilismo, sessismo, razzismo.

Stati formalmente democratici, i nostri, ma dove può accadere che la sovranità popolare diventi sempre più l’accerchiamento populista del popolo sovrano: per lo svuotamento degli strumenti democratici nella sindrome del ritorno all’Uomo solo al comando.

Gli Erdoğan i Trump, i Putin... e con loro le ampie schiere di aspiranti duci e ducetti, dimostrano quanto l’ingordigia di controllo sociale abbia bisogno di idoli e idolatri, che nel marchio patriarcale affermino mantengano restaurino il narcotico della sindrome servo-padrone: dalla famiglia alla società.

Dal’inizio dell’occupazione turca in Siria, abbiamo assistito ai silenzi e ipocrisie dell’Europa. Alle messe in scena del cinguettante Trump, che dopo l’ok ad Erdoğan, cinicamente si autogiustificava: «I curdi non sono santi». Al risveglio dall’insipienza di Assad che si è spinto ad appellare Erdoğan «ladro di terra».

E su tutti si ergeva sornione Putin, che a Sochi riceveva Erdoğan. E alla fine tutti d’ccordo, nello spartirsi potere e affari. Sulla pelle dei curdi, con chiusura di siparietto di Trump che ritirava sanzioni economiche che sapeva bene che non avrebbe mai dovuto applicare. Missione di mercimonio compiuta.

Per la liquidazione della questione curda è all’orizzonte (forse?) un altro sterminio. E il lavoro sporco non lo farà l’esercito di Erdogan, ma probabilmente quella manovalanza jihadista che in quell’area scorribanda e che abbiamo visto all’opera, sulla strada tra Manbij e Qamishlo, per assassinare Hevrin Khalaf il 12 ottobre scorso.

Su questa scomodissima donna: femminista, attivista per il riconoscimento dello stato Curdo, laeder del Partito della Siria del Futuro, si è riversava tutta la barbarie dell’odio femminicida.

Dopo aver crivellato il suo corpo, gli omicidi ne hanno fatto scempio lapidandolo e strascinandolo per i capelli per un tratto talmente lungo che la pelle delle povere gambe scuoiate diveniva la striscia di un lugubre lastricato. Un’opera di macelleria filmata e messa in rete, sembrerebbe, dagli stessi carnefici.

Ma oltre a questa soldataglia jiadista, ritornano in campo anche i miliziani dell’Isis. Molti sono  fuggiti dalle prigioni curde bombardate. E non sarebbe loro difficile mescolarsi ai profughi dei campi allestiti in Turchia da Erdoğan e che saranno spostati nella fascia di occupazione del territorio dei curdi siriani.

Il disegno di epurazione curda Erdogan non l’ha mai nascosto. E adesso potrebbe divenire realtà anche attraverso una probabile guerra etnica tra chi in quell’area aveva instaurato la democrazia e chi questa considera un sacrilegio.

Anche su MicroMega on.line

 

 

 



 

 


 

Direttore Responsabile: Maria Mantello
Webmaster: Carlo Anibaldi 

: