Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

 

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL LIBERO PENSIERO "GIORDANO BRUNO" 

Fondata nel 1906

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Presidenza nazionale e Presidenza sezione di Roma - Coordinamento Web :

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Torino

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Referendum costituzionale arriva il NOrenziDay

di Maria Mantello

 

Intervista a Stefano d’Errico (Segretario nazionale Unicobas) a margine del convegno “dalla decostituzionalizzazione della scuola alla deforma della Costituzione

 

Nel contesto del prossimo referendum costituzionale si inquadra il convegno che si è tenuto il 12 ottobre nell’aula magna dello storico liceo romano Terenzio Mamiani “Dalla decostituzionalizzazione della scuola alla deforma della Costituzione” per spiegare il filo conduttore di quella bulimia riformista che si è abbattuta sul nostro paese e che ha visto progressivamente minare la scuola statale nella sua funzione di organo costituzionale. Una politica che viene da lontano e di cui la revisione costituzionale sembra essere la chiusura del cerchio.  

 

Quale il significato di questo convegno e l'impegno culturale - politico - sociale del sindacato?

Il Convegno organizzato dall’Associazione ‘Unicorno – l’AltrascuolA’ e dall’Unicobas risponde alla necessità di investire l’energia mostrata dal mondo dell’istruzione pubblica nella lotta plebiscitaria e nella campagna referendaria contro la ‘cattiva scuola’ di Renzi, in una battaglia di civiltà contro il tentativo - se vincono i sì al referendum del 4 dicembre - di stravolgere la Costituzione repubblicana a vantaggio di un progetto di premierato assoluto.

Occorre smantellare gli infingimenti renziani. Occorre votare No perché persino secondo la ragioneria generale dello stato il risparmio dei “costi della politica”, tanto propagandato, è di soli 58 milioni e non di 500, come, mentendo sapendo di mentire, ha dichiarato il Presidente del Consiglio; perché la seconda camera (Senato), resta con esponenti del localismo territoriale che assurti a senatori sono finanche blindati nell’immunità, così che un qualsiasi sindaco diverrebbe intoccabile; perché un partito col 15-20% (o anche meno – grazie all’Italicum) si potrebbe portare a casa una maggioranza assoluta in Parlamento. Allora se si tratta di risparmio, sarebbe bastato ridurre il numero globale dei parlamentari e le loro lautissime prebende. Oppure ad esempio tagliare gli stipendi super milionari dei super-dirigenti Rai.

 

L’accusa molto forte che voi fate è nel tradimento della Costituzione “materiale” riguardo  alla libertà d’insegnamento e apprendimento...

 

Sulla Scuola, l'art. 117 del testo approvato, al comma n) «disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica», segna la fine della libertà di insegnamento, avocando al ministro dell’Economia pro-tempore persino le scelte strategiche in materia di istruzione e, come ricorda il comma successivo, anche di previdenza, nonché «tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale».

Nel mezzo dell’attacco ai beni comuni, stiamo assistendo all’arruolamento della Scuola (non più) pubblica ai diktat meramente economici, feroci e brutali del neoliberismo.

Per questo l'Unicobas è anche impegnato nella costruzione di un percorso che rimetta al centro la socialità di cultura e diritti. A questo fine con l'Unione Sindacale di Base e l'Unione Sindacale Italiana, siamo impegnati nella costruzione di una due giorni per il 'No sociale'.

È chiaro che per vincere lo scontro referendario occorre essere presenti su di un terreno molto più 'materiale'. Le questioni politico-sociali-sindacali diventano così il corpo, la sostanza delle regole democratiche, come i costituzionalisti ben sanno. Del resto - per fare qualche esempio - non dimentichiamo, che lo stravolgimento definitivo della Costituzione scritta giunge dopo il progressivo impoverimento dei diritti: dal lavoratore in affitto ('pacchetto' Treu) all’eliminazione dell’art. 18.

 

Insomma il referendum costituzionale occasione storica per rimettere al centro le lotte sociali. Di qui la vostra proclamazione del 'NO Renzi day' ?

 

Se questa contro la revisione costituzionale è la 'madre' di tutte le battaglie, allora che sia un No complessivo a tutte le politiche decostituzionali di questo governo, un No a precarietà e disoccupazione giovanile, alla vergogna degli esodati, al mutuo per la pensione, all'eliminazione dell'art. 18, all'iper-tassazione sul lavoro dipendente e all'evasione fiscale per i ricchi, allo strapotere delle banche e della finanza speculativa europea, alla UE dei muri e dello sfruttamento per i migranti, allo stato di guerra permanente generato dai grandi e sporchi interessi delle multinazionali.

Il 21 ottobre sarà sciopero generale e generalizzato, non solo per tutte le categorie del mondo del lavoro (e del non-lavoro): vogliamo che sia uno sciopero sociale (costruito da una fitta rete di base).

Nella mattina di questa giornata il mondo della Scuola, settore prescelto dagli attacchi renziani, si ritroverà per manifestare sotto il Ministero dell'Istruzione, a Roma, in Viale Trastevere. Dal pomeriggio saremo in piazza di S. Giovanni, con gazebo, spazi tematici, concerti, animazione, fino a realizzare una vera e propria 'acampada', tenendo la piazza anche di notte con altre attività di controinformazione. Saremo quindi a S. Giovanni anche la mattina del giorno successivo, il 22 ottobre, in attesa dei pullman che arriveranno da tutta Italia fino a che, intorno alle 14.00, partirà il corteo per il NO Renzi day, una manifestazione unitaria e inclusiva nella quale attendiamo tutto il popolo del No con la sua ricchezza nelle varietà e la sua determinazione: tanti movimenti, associazioni e partiti impegnati con noi nella preparazione della giornata.

 

Un riappropriarsi della politica contro la crisi di rappresentatività della ufficialità politica?

 

Nella generalizzata crisi dei partiti, il sindacato diviene, se possibile, ancora più decisivo. Il nostro è il tentativo di affermare un sindacato di progetto, che non delega a fonti esterne l’ordine del giorno di un necessario, decisivo ribaltamento dei rapporti di forza e della costituzione materiale dominante imposta dal neo-liberismo.

Non possiamo dimenticare come anche molti settori dei sindacati tradizionali sono diventati sempre meno credibili anche perché hanno offerto supporto ad operazioni politiche ‘esterne’ in conflitto col mondo del lavoro (nel mondo della scuola questo processo è stato evidente).

La crisi della rappresentanza è crisi generale. Ma già l’ottica sindacale “tradizionale” faceva acqua da tutte le parti: il progetto ‘politico’ veniva (e continua a venire) da fuori, lo elabora(va) appunto una rappresentanza istituzionale - il ‘partito’ (ammesso che esista ancora), - o un gruppo dirigente ‘autonomo’ (oggi peraltro neppur più segnato idealmente, bensì sempre più interno a logiche affaristiche e di casta), avulso dallo specifico della funzione, composto di distaccati e mestieranti privilegiati a vita. Il sindacato dovrebbe essere prima di tutto progetto e coesione etica fra lavoratori, espressione degli interessi diretti dei lavoratori, indipendentemente dalle tessere di partito. Deve tornare a seguire il 'programma minimo' dettato dai bisogni del mondo del lavoro ed al tempo stesso essere espressione di una società civile i cui interessi generali in materia di welfare e bene pubblico sono sempre più opposti a quelli dei gruppi dominanti.

 

Approfondiamo la questione del nesso tra “decostituzionalizzazione” della scuola e “deforma” della Costituzione, tema del convegno del 12 ottobre?

 

In primis vediamo un nesso autoritativo. Come è scritto nell’appello del Comitato Nazionale per il No: «Di entrambe ci allarmano tanto il metodo sbrigativo con cui sono state promulgate (con la demagogia del finto ‘ascolto’), quanto il merito delle questioni, da cui emerge il quadro di un paese deprivato non solo sul piano economico. Al potere concentrato nelle mani del dirigente scolastico, allo svuotamento degli organi collegiali e alla frantumazione della comunità educante e del sistema nazionale d’istruzione, corrispondono il concentramento dei poteri nelle mani del Governo, l’umiliazione del Parlamento, dunque, la sottrazione di sovranità popolare».

Nella legge 107 (“Buona scuola”), il primo vulnus costituzionale è rappresentato dal nuovo ruolo assegnato al dirigente scolastico, posto a presiedere il 'Comitato di Valutazione', che non potrà mai ricoprire una posizione 'terza' perché interno alle dinamiche di gruppo presenti nell’Istituto scolastico. Una cosa esclusa ‘ab origine’ da qualsiasi serio manuale di Psicologia, e che non avviene in nessun paese del mondo. Risulta poi davvero carente ogni previsione sul chi e come 'valuterebbe' questi 'selezionatori'.

 

Perché nella valutazione dei docenti individuate un vulnus costituzionale?

 

I criteri indicati dalla legge per la valutazione dei docenti sono semplicemente ultra-generici e non creano argini alla pressoché totale discrezionalità del dirigente, indipendentemente persino dai criteri indicati dal comitato di valutazione della sua scuola. La discrezionalità assoluta è tipica dei sistemi totalitari ove la funzione docente è al servizio della casta dominante. Nella scuola si vogliono ridurre i presidi a funzionari compiacenti, come avviene nelle private. 

Ricordiamo in proposito ai fautori del ‘nuovismo’ renziano, che la nota di “qualifica funzionale per merito distinto” venne introdotta in Italia dal fascismo: tramite questa descrizione particolareggiata dell’iter personale e comportamentale (più che pedagogico) dei docenti, Mussolini chiedeva ai presidi dell’epoca di segnalare chi non fosse in linea col regime. Questa nota venne eliminata solo nel 1974 dai DdPpRr 416 e 417. Negli archivi dei vecchi provveditorati esiste tutta una preziosa letteratura sull’uso fantasioso di queste “note”, opera dall’ala ‘creativa’ di quei presidi, che ancora nella prima metà degli anni ’70 riferivano della riprovevole usanza di talune insegnanti d’indossare “gonne che non coprivano il ginocchio”.

Il ‘duce’ aveva però dimenticato, nell’italietta delle piccole e grandi lobbies familistiche e mafiose, delle tangenti, dei clericalismi integralisti (o di comodo) e degli inciuci, di fornire un portafoglio ai suoi capi di istituto. Bene, Renzi ha trovato rimedio a questa lacuna: stanzia 14.000 euro netti da devolvere ad libitum, ad uno o più docenti. Inoltre, solo a causa di un incidente di percorso, la Camera dei deputati è inciampata in un emendamento che rende impossibile ‘promuovere’ economicamente, con l'assunzione diretta nel proprio istituto, mogli & affini (come invece avviene nelle Università). Ma naturalmente alla cosa si può ovviare con l'incrocio delle 'conoscenze'. Peraltro, grazie alla facoltà di scegliere dall’organico territoriale, in aggiunta ad un incremento salariale ottenuto tramite la scelta di ‘merito’, questo ‘scambio’ potrebbe avvenire ugualmente, aggiungendovi addirittura la stabilizzazione sul luogo di lavoro, anche con figli e parenti (se presi in carico da qualche ‘amico degli amici’). Ecco quindi il ‘senso’ della 'figura esterna' a cui prima accennavo: membro di diritto del Comitato di Valutazione, un secondo dirigente, coartato dalla Direzione Scolastica Regionale, che si vorrebbe 'super partes'.

 

Approfondiamo l’aspetto della costituzionale della libertà d’insegnamento e del diritto allo studio?

 

Gli insegnanti non sono 'lavoratori subordinati'. La libertà d’insegnamento è un diritto indisponibile, che non avrebbe potuto subire modifiche senza precedenti vulnus alla Costituzione. Venendo scelti da un dirigente scolastico, gli insegnanti diventano invece meri esecutori dei diktat del 'Capo', alla stregua di semplici impiegati, per di più ricattabili da genitori ed alunni chiamati nel comitato per la retribuzione ‘premiale’. È la fine della cooperazione educativa.

Del resto il ddl non si cura di potenziare il diritto allo studio, imponendo invece agli studenti un mero apprendistato, fissando addirittura un minimo di 400 ore annue (da detrarsi dallo studio dei saperi critici) pro-capite negli istituti tecnici e professionali (e ben 200 nei Licei), perché vengano introiettate in loro 'competenze' esecutive. L’addestramento sostituisce la scuola del pensiero critico, il minimalismo i saperi, molto utile all'impresa perché formerà le nuove 'leve' in ordine alle immediate necessità produttive. Sempre che, nel trend tipico della globalizzazione, le 'competenze' necessarie al mercato non siano mutate con la velocità del lampo.

 

Un bel regalo a Confindustria e al Vaticano?

 

Certamente, tanto più che il dominio unilaterale e discrezionale sulle 'risorse' umane e professionali delle scuole produce ulteriori disparità fra istituto ed istituto, consegnando la definizione delle linee-guida (“Piano triennale dell’offerta formativa”) e la gestione (chiamata diretta e valutazione docenti) del progetto educativo della Scuola pubblica ad una sola persona, ‘spacchettando’ in modo inaccettabile l’intero piano formativo, che diviene in tal modo ‘cosa del preside’, trasformato in strumento del Ministro dell’Istruzione. 

Un dispositivo del genere porta inevitabilmente anche nell'istruzione pubblica la logica delle scuole di tendenza: come la mette la ‘nuova’ scuola ‘pubblica’ di Renzi con uno dei tanti presidi che non amano si parli d’altro che del ‘creazionismo’ ed hanno in odio la teoria del ‘big bang’, a fronte dei poteri incondizionati che il decisionista al comando gli ha attribuito? 

Si potrebbe dire, che dopo gli ingenti e crescenti finanziamenti alle scuole private (nel nostro paese in stragrande maggioranza cattoliche), che però continuano ad essere in crisi di iscrizioni - tanto da essersi trasformate in alberghi e polisportive (così pagano quasi nulla di imposte e tasse) - si cerca di irreggimentare nell’ideologia religiosa attualmente dominante (la cattolica) la scuola statale.

 

Ma la libertà d’insegnamento non è compressa anche nel demansionamento dei docenti?

 

Basta dire che i neo-assunti sono costretti a far valere i propri diritti (e, finalmente, la loro fattiva opposizione alla L. 107), ricorrendo contro i numerosi demansionamenti su cattedre per le quali non sono abilitati o sulle supplenze, in difesa della qualità della didattica e del rispetto della professionalità degli insegnanti. Vi sono diecimila ‘novizi’ spediti addirittura su ordini e gradi di scuola diversi da quelli per i quali sono abilitati, insegnanti di italiano, latino e greco mandati in istituti comprensivi a far supplenze persino nella Scuola dell’Infanzia: il silenzio totale (o quasi) dei media su questo la dice lunga su quanto giornali, radio e televisioni siano sempre più proni al Governo. 

 

Il ruolo costituzionale del sindacato viene penalizzato dalla revisione della Costituzione?

 

La controriforma costituzionale ricalca gli stessi passaggi sperimentati dal 1997 in materia di diritti sindacali. Persino il ‘supermaggioritario’ è stato largamente sperimentato innanzitutto in materia di rappresentanza sindacale. Purtroppo non possiamo più parlare di 'ruolo costituzionale' del sindacato.

Sino al '97 le norme richiedevano ai sindacati il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un'elezione e l'altra il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate locali o di singola "unità produtiva". La legge "Bassanini" del Novembre '97 (votata da un governo che si diceva di ‘centro-sinistra’) ha introdotto un meccanismo elettorale farsesco che impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste decentrate e delegando alle OOSS concertative la scelta del ‘rito’ elettorale. Questi nella scuola impongono la presentazione di una lista per ogni singolo istituto, mentre le regole negano solo ai sindacati non ancora ‘maggiormente rappresentativi’ persino il diritto di assemblea in orario di servizio di modo che non si possano trovare i candidati ed i sottoscrittori necessari a presentare le liste né fare campagna elettorale.

Va da sé che prevale la legge delle probabilità: meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere. Così i sindacati di base non potranno mai diventare ‘rappresentativi’.

Se si fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento non si consentirebbe di fatto la nascita di nuovi partiti. Nessuno accetterebbe mai il computo fra voti ed iscrizioni ai partiti elevato a regime. Oggi ci troviamo al paradosso per la rappresentatività sindacale, che un sindacato può anche avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna trattativa decentrata. In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il federalismo è stato espunto dalla democrazia del lavoro.

 

La Repubblica fondata sul lavoro - come afferma l'art. 1 della Carta - ha il significato alto di impegno dello Stato contro il parassitismo. Le riforme in atto: lavoro-scuola-costituzione non intaccano proprio l'incipit della Costituzione nata dalla Resistenza ?

 

Occorre avanzare una nuova costituzione materiale che, senza illusioni, con le lotte e la ripresa del conflitto sociale, rivendichi l'applicazione di quel 'diritto al lavoro' sul quale si fonda  la Carta nata dalla Resistenza. Più che ‘rinegoziare’, occorre ribaltare i rapporti di forza, senza i quali tutto è ‘lettera morta’ e mera petizione di principio. Non ci sono scorciatoie. Contro le politiche di compromesso (al ribasso), che hanno concorso a spingerci sulla china del ‘medio evo prossimo venturo’; abbandonata, d’altro canto ogni velleità totalitaria, elitaria e di casta, occorre ricostruire una sinistra plurale, socialista e libertaria che viva nella società civile molto più che nel ‘palazzo’.

Una sinistra capace finalmente di affermare una nuova politica a guida etica ed umanitaria, ma anche di intransigenza su tutte le libertà ed i diritti fondamentali, capace infine di abbandonare nelle discariche della storia ogni velleità machiavellica (perché non è vero che ‘il fine giustifica i mezzi’), ma anche le facili presunzioni ed il dilettantismo della moda ‘antipolitica’ e ‘post-ideologica’.

 

 

 


 

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