Al Valle occupato va in scena
l’Italia migliore del lavoro e della funzione pubblica della
cultura…
Uno dei più insigni luoghi della cultura romana e nazionale, un
gioiello all’italiènne dove hanno avuto il loro battesimo assoluto
Il Barbiere di Siviglia e i Sei personaggi in cerca d’autore, uno
spazio pubblico nel cuore di Roma, palestra di sperimentazioni
drammaturgiche contemporanee e di ricerche formali come quelle dei
Raffaello Sanzio rischia, assieme ad un vuoto di identità artistica
e direttiva già in atto, la chiusura o, peggio, la trasformazione in
un bistrot. Dove si alimentavano spiriti e menti, si vorrebbero
riempire le panze e le saccocce dei soliti noti.
Ma questa volta il popolo sovrano ha detto no. Martedì mattina 14
giugno, un gruppo di circa settanta lavoratori e lavoratrici dello
Spettacolo ha occupato il Teatro Valle richiedendo trasparenza nelle
nomine direttive dello storico teatro, partecipazione diretta nella
direzione dello stesso da parte di persone preposte per requisiti
pertinenti e meritocraticamente conseguiti e un totale rifiuto a
qualsiasi ipotesi di privatizzazione.
Dopo poche ore, alla conferenza stampa erano presenti già circa
ottocento persone: dopo tre giorni e tre notti di occupazione
pacifica ma fermissima, in teatro sono passate per partecipare alle
assemblee o per assistere agli spettacoli circa 3.000.000 persone.
E, sull’onda dell’entusiasmante risveglio di coscienza del paese
delle settimane scorse, la fiumana di questa ipotesi di rivoluzione
culturale non accenna a cessare.
In un clima per nulla lamentoso ma, al contrario, criticamente e
auto criticamente vivacissimo, gli artisti e i lavoratori dello
spettacolo hanno aperto un confronto per la prima volta veramente
serio al fine di trovare un’identità di categoria smarrita in questi
ultimi vent’anni di tali abomini compiuti sul patrimonio e sulla
funzione culturale del paese da aver destabilizzato anche gli stessi
diretti interessati, disorientati su cosa dovesse essere la funzione
dell’artista in un paese che non la riconosce più.
Quello che si respira in platea, sul palcoscenico, nei palchi e nel
foyer di quel teatro è poco descrivibile: generazioni di artisti e
di maestranze del teatro e del cinema, con una fortissima
predominanza della fascia tra i venti e i quarant’anni, ma anche
cittadini, gente che riconosce come valore fondamentale
nell’identità di una società andare a teatro e al cinema, leggere un
libro e vedere una mostra, arrivano con spontaneo rispetto in quel
luogo più che mai oggi circondato da una sacralità a dare il loro
contributo di una firma, di un applauso, della loro attenzione e del
loro tempo, spesso delle loro idee o delle loro storie di
saccheggiati e umiliati dai sistemi forti che vedono nella cultura
non solo una dimensione inutile e parassitaria ma ne temono la
straordinaria forza rigeneratrice del senso critico e della
coscienza individuale e collettiva.
E accalcato nei palchi il pubblico, pervaso da un brivido da
carboneria, riscopre l’importanza di esserci, di manifestare, di
sentirsi compatto non solo nell’indignazione ormai arrivata ad
essere percepita fisicamente ma nella volontà propositiva che fa
dire “no” alle melliflue e immediate risposte della classe dirigente
che finge di non capire neppure che cosa si stia chiedendo asserendo
che il Valle entrerà attraverso un regolare bando nel circuito dei
Teatri di Roma.
Ma a noi non va bene, sia perché di regolare non vediamo più niente
da almeno vent’anni, sia perché il Valle vuole avere un’identità
pubblica e autonoma. Intanto le giornate si susseguono tra pomeriggi
investiti in assemblee costruttive redatte a fine giornata da Atti
che sintetizzano le linee portanti degli interventi e notti di
kermesse teatrali dove con fluidità e senza retorica si susseguono
nomi noti e non, tanto che non si sa come dar voce a tutti. Qui le
gerarchie di celebrità non contano, ma il “peso” di Andrea Camilleri
che ipotizza dal Valle una possibile “rivoluzione culturale” non può
non essere notato come la magia creata da Franca Valeri che ha
commosso un teatro gremito all’inverosimile esortando il popolo
della cultura e delle arti a “resistere fino all’obbiettivo e
oltre”. Ora si auspica che anche altri teatri vengano occupati
(perché non La Pergola di Firenze o il Duse di Bologna, altre gemme
preziosissime a rischio chiusura), ma anche qualsiasi cinema,
biblioteca o addirittura Cinecittà: luoghi pronti per essere
trasformati in booling, spa, sale giochi o centri di sfiancamento
gastronomico per pance ingorde, in modo da riciclare per bene quello
che si deve e lobotomizzare definitivamente il popolo dei
replicanti. Ma hanno fatto i conti senza l’oste: la cultura che non
si mangia è affamata come non mai.