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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Acqua in bocca - hanno
privatizzato l'acqua
La nostra sconfitta, prima che
economica, è culturale. La grande vittoria del secolo scorso fu l’acqua
nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro. di Paolo Rumiz*
Se i nostri
padri ci avessero fatto una simile profezia non li avremmo creduti.
Invece succede. Siamo in guerra. Una guerra contro i territori. In
Italia è iniziata la guerra per l’accaparramento delle ultime risorse.
Sta già avvenendo: cementificazione dei parchi naturali, requisizione
delle sorgenti, privatizzazione dell’acqua pubblica, discariche e
inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese, ritorno al
nucleare, grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e
la distruzione di interi habitat. Fiumi già in agonia, disseminati di
ulteriori centrali idroelettriche. Impianti eolici che stanno cambiando
i connotati all’Appennino. Tutto conduce su questa strada: la ricorrente
invocazione di poteri forti ai danni del parlamento, il fallimento del
pubblico e l’invadenza del privato, la sottrazione delle risorse ai
Comuni, lo smantellamento della democrazia diretta, la corsa a un
federalismo irresponsabile che assomiglia tanto a una licenza di
sperpero, la deregulation legislativa, la crisi della scuola e
delle università, la visione speculativa e finanziaria dell’economia. E’
come negli anni Trenta: crisi del capitalismo, opposizione inesistente,
criminalità diffusa. Ma con in più (e in peggio) la desertificazione dei
territori, lo spopolamento della montagna. Il “Paese profondo” si è
talmente indebolito che oggi l’atteggiamento predatorio che abbiamo
rivolto prima verso Con l’acqua la situazione è ancora più limpida. Vi racconto cose che ho visto personalmente. Qualche scena, capace di illuminare il tutto. Alta Val di Taro.
C’è una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche
in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese –
noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato –
restano senz’acqua nelle condutture pubbliche. C’è una protesta ma il
sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. “Non abbiate paura –
dice – quando mancherà Recoaro, provincia di Vicenza. Una pattuglia di “tecnici dell’acqua” (così si presentano), fanno visita a una vecchia che vive sola in una frazione di montagna. Le chiedono di poter fare delle verifiche alle falde. La donna pensa che siano del Comune. Il lavoro dura un mese. I tecnici trivellano, trovano acqua. Poi chiudono il pozzo aperto con dei sigilli. A distanza di mesi si scopre che la fabbrica di acque minerali giù in valle sta facendo un censimento delle fonti potabili in quota, in vista della grande sete prossima ventura della Terra in riscaldamento climatico. I parenti della donna si accorgono del maltolto e sporgono denuncia. Scoprono di essersi mossi appena in tempo per evitare l’usocapione del pozzo. Il sindaco tace. Gli abitanti di Recoaro pure. Ciascuno vende le sue fonti in separata sede. Castel Juval, in val Venosta. Qui potete fare le vostre verifiche da soli. Vi sedete al ristorante dell’agriturismo di Reinhold Messner e chiedete dell’acqua. Scoprirete di avere due opzioni. L’acqua minerale – la notissima acqua propagandata dall’alpinista sud-tirolese – e l’acqua di fonte. La fonte di Reinhold Messner. Ebbene, anche questa è a pagamento. Metà prezzo rispetto a quella in bottiglia, ma anch’essa a pagamento. E la gente beve, estasiata. Vedere per credere. Che dire? Come gli abitanti della Somalia o del Mali, siamo disposti a pagare ciò che ci sarebbe dovuto gratuitamente. Abbiamo rinunciato a considerare l’acqua come pubblico bene. La nostra sconfitta, prima che economica, è culturale. La grande vittoria del secolo scorso fu l’acqua nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro. Siamo ridiventati portatori d’acqua. Come gli etiopi, arranchiamo per le strade con carichi inverosimili d’acqua e non riflettiamo che il valore reale della medesima è appena un centesimo del costo della bottiglia. Meno del costo della colla necessaria a fissare l’etichetta. Il dramma non è solo lo scempio delle risorse, ma la nostre insensibilità alla rapina in atto. Abbiamo accettato di farci derubare. Siamo un popolo rassegnato, e i signori delle risorse lo sanno perfettamente. Il dossier di un’azienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: “facilità di penetrazione, costi d’insediamento minimi, zero conflittualità sociale”. Soprattutto, “poche obiezioni ecologiche”. Sembra il Congo, invece è Italia.
*Pubblicato su Libero Pensiero, n°50,
dicembre 2009 Estratto conferenza “Acqua bene comune:
storia, civiltà vita”, 12 marzo 2009, |
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