Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

Requires Acrobat Reader.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL LIBERO PENSIERO "GIORDANO BRUNO"

Fondata nel 1906

Aderente all' Union Mondiale des Libres Penseurs - International Humanist and Ethical Union

Presidenza nazionale:

prof.ssa Maria Mantello,


Roma

telefax: 067001785,


e.mail

Presidenza sezione di Roma - Coordinamento Web

prof. Maria Mantello


Roma


e.mail

Presidenza Onoraria e Sezione di Torino:

avv. Bruno Segre


Torino


e.mail , e.mail2

14 OTTOBRE: PRIMARIE PARTITO DEMOCRATICO 

Due pareri a confronto su L’INCONTRO,  sett. 2007

 

LE RAGIONI DEL SI

Perchè il Partito Democratico? Rispondere a questa domanda implica un’analisi critica dell’evoluzione della politica italiana degli ultimi 50 anni. Esprimere le ragioni del SI e raccontarle all’opinione pubblica, dalla quale troppo spesso la politica si allontana, significa mettere a fuoco prima di tutto alcuni fenomeni precisi, oggettivi: la carenza di forza identitaria dei movimenti politici storici, ormai acclarata, la necessità di confrontarsi con nuovi cicli sociali e produttivi, l’inadeguatezza dei modelli politici di un secolo che ormai si è chiuso e con i quali non possiamo affrontare il secolo nuovo.

Il Partito Democratico rappresenta la naturale evoluzione di un processo di profonda riforma del Paese, che in politica è iniziato nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, con il lungo declino della Democrazia Cristiana e l’inchiesta di Tangentopoli, per approdare a un primo momento aggregativo importante nel 1996 con l’esperienza dell’Ulivo, e con l’espressione di un bipolarismo che potremmo definire “imperfetto” ma già recante in sè i segni della volontà popolare di rispondere ad un equilibrio politico chiaro.

Fatti che raccontano una lenta trasformazione del Paese e che sarebbe irragionevole ignorare.

Se 10 anni fa l’Ulivo lesse e comprese i segni del desiderio di rinnovamento facendosene interprete, oggi il Partito Democratico deve portare a compimento questo desiderio compiendo un ulteriore passo avanti. Non rinnegando la propria storia, per citare un recentissimo discorso di Piero Fassino a Bologna, ma superandola. L’attualità ci incalza. Cosa significano per un ragazzo di 20 anni le parole “comunismo” o “fascismo”? Nel caso migliore, e naturalmente auspicabile, il possesso morale e culturale di una personale visione della storia di questo Paese, ma con una scarsa o nulla aderenza al mondo che essi vivono. Un mondo che ha cambiato i propri schemi sociali, che ha inventato nuovi modelli produttivi e che deve mettersi in relazione ad essi con strumenti adeguati.

Il richiamo della memoria è ad un grande dirigente del PCI, Giorgio Amendola, che da uomo del Sud pose enorme attenzione a ciò che avveniva nel mondo del lavoro, sopratutto al settentrione, per trarne modelli utili a capire come cambiassero i tempi e conseguentemente come la politica dovesse cambiare. L’attualità, ripeto, incalza e impedisce di restare immobili. Le liste civiche di un comico vestito da tribuno della plebe infiammano l’opinione pubblica più stanca, che con fatica crescente guarda ad una politica lontana dal mondo reale, pensando che sia cosa che non la riguarda, o peggio, che non la riguarda più. E’, questo sentimento di cosidetta “antipolitica”, il segno tangibile della necessità di rimettersi in ascolto e di rispondere alle richieste, anche quelle più violente, con gli strumenti di cui la politica dispone, con le leggi, con le riforme, con lo scardinamento dei sistemi di cartello che hanno danneggiato l’economia pubblica e impoverito i più poveri, emarginando chi non aveva, per nascita, i diritti dinastici sul lavoro e sulla realizzazione di sé.

A questo sentimento, sempre pericoloso perché innamorato dell’idea di un “uomo forte” che rappresenti la panacea, bisogna rispondere. Per farlo occorre essere forza maggioritaria nel Paese, priva delle contraddizioni della doppia natura racchiusa nello slogan che inneggiava alle forze di lotta e di governo. Guardiamo a un bipolarismo chiaro, trasparente, regolato da una legge elettorale maggioritaria e con soglie di sbarramento che semplifichino il lavoro di chi vuole fare le riforme. Guardiamo a un Partito federale, in cui minima sia la distanza fra gli eletti e gli elettori, che sappia capire le esigenze del territorio che esprime gli eletti e sappia valorizzare quelle particolarità, rinunciando a modelli prestampati di sviluppo sostenibile. Non si tratta del Partito del nord, una formula che non ho mai usato e che non riconosco, si tratta della volontà di affrontere le grandi questioni che dal banditismo ad oggi hanno scavato il divario fra nord e sud. Ragioni profonde, culturali, storiche, che però devono trovare un esito diverso dalla rassegnazione con cui parliamo oggi di questione “settentrionale” e “meridionale”.

Credo che la politica nuova che serve all’Italia debba essere coraggiosa nel guardare alle liberalizzazioni, alla promozione della concorrenza, al risanamento finanziario, ad uno Stato leggero e regolatore, ad una reale tutela dei diritti del cittadino. Tesa ad un modello sociale efficiente ed inclusivo, alla valorizzazione delle persone, ad iniziare dai giovani e dalle donne, che non li condanni alla precarietà, che potenzi la formazione, promuovendo il merito, ridisegnando il welfare, promuovendo diritti e riaffermando i doveri. Una politica di difesa della sostenibilità ambientale, e della piena valorizzazione delle risorse naturali, che sappia dire “SI” ad un nuovo patto fra scienza, tecnologia ed ambiente, consapevole che lo sviluppo economico oggi non può fare a meno della difesa dell’ambiente. Una politica che investa sulla risorsa immigrazione, favorendo l’integrazione in un quadro di pieno rispetto della legalità e che non tema di confrontarsi con le sinistre degli altri grandi Paesi europei, in grado da tempo di promuovere politiche di equità sociale attraverso la valorizzazione delle proprie, peculiari, risorse e possibilità.

Fin qui, l’idea.

Quello che occorre fare oggi è riprendere a parlare all’opinione pubblica, spiegando il progetto. Uscire dalle stanze spesso divenute elitarie e dalle discussioni figlie di una partitocrazia superata. Il Partito Democratico non dovrà essere – si è detto a lungo – una fusione fredda tra due forze politiche, ma dovrà muovere dalla volontà e dalla nostra capacità di ricominciare da capo. Occorre il coraggio di ricominciare a parlare dei grandi temi senza etichette di destra o di sinistra, senza l’appropriazione indebita del marchio di fabbrica di un filone o di un altro. Di che colore è l’esigenza di sicurezza? Di che colore sono le norme che regolamentano una buona immigrazione? Di che colore è un’analisi coraggiosa dei mali dell’economia italiana? Solo rinunciando a ragionare in termini di appartenenza immobile riusciremo a volgere la Storia al futuro, smettendo di ricondurre l’identità di un Partito che sta per nascere a quella di Partiti che non esistono più e a portare nuovo vigore nel quadro che vogliamo comporre. Si deve investire sulla possibilità che le culture politiche che hanno risollevato l’Italia del dopoguerra (comunista e socialista, liberale e cattolica – democratica) trovino un denominatore comune guardando al futuro dell’Italia e del mondo. Non la riedizione di un compromesso per governare l’emergenza, ma il mettersi in discussione reciprocamente e contemporaneamente in rapporto alla sfida che la società di oggi e di domani pone ai nostri diversi paradigmi ideali e di valori, riconoscendo a tutte le culture pari dignità sin dall’inizio del percorso, per non correre il rischio di vanificarlo.

Le innovazioni sono sempre difficili, i cambiamenti richiedono sempre coraggio, anche quando non nascano dai grandi traumi delle rivoluzioni o delle dittature, ma quando, come per nostra fortuna ci occorre in questa epoca, essi vengano originati dal fluire della nostra storia politica, dal cambiare delle condizioni globali.

Credo debba misurarsi qui, oggi, il coraggio più autentico della migliore sinistra italiana.

Sergio Chiamparino

Sindaco di Torino

 

 

LE RAGIONI DEL NO

 

Seguiamo con grande rispetto il percorso avviato da chi vuole costruire il Partito Democratico e le ragioni che lo motivano. I socialisti hanno posto, fin dal congresso di Genova, la questione della “Casa dei riformisti”, avviando di fatto il percorso che ha portato a costruire le liste unitarie dell’ULIVO alle elezioni europee del 2004. Al fondo di quella idea c’è stata l’aspirazione a superare le persistenti anomalie della politica italiana e la nuova formazione non doveva essere fine a se stessa, ma diventare il prototipo di un grande Partito riformista.

Quanto si sta oggi costruendo non è però un coerente proseguimento di quel percorso innovativo, ma l’incontro di due sole storie: l’ex-PCI ed ex-DC, che assomiglia troppo ad un compromesso storico “bonsai”, tra esponenti della tradizione democristiana meno laica di De Gasperi e Fanfani e chi è più che mai deciso a non riconoscere il successo storico del socialismo liberale, come ha recentemente scritto Antonio Girelli.

Non è, quindi, una novità, anzi, la somma di quel che resta di due antiche tradizioni della nostra Repubblica sembra un regresso nel passato. Voglio evidenziare alcune questioni irrisolte che impediscono a noi socialisti di aderire oggi al Partito Democratico.

La prima riguarda le luci spente su quella che sarà la collocazione internazionale ed europea del P.D. C’è chi ha parlato di stare nell’“ambito” del socialismo europeo, considerando questa questione successiva a quella del varo del PD. Ma si tratta di un mediocre espediente dialettico-lessicale! Nella storia politica d’Europa le grandi famiglie sono quella socialista democratica, quella popolare conservatrice e quella liberale, con ai margini gruppi estremi ed esigui di destra e di sinistra. Inventarsi una nuova soggettività (ulivista?) appare stravagante e politicamente incongruo. Del resto è difficile comprendere le ragioni che inducono i dirigenti della Margherita a respingere sdegnosamente l’idea di iscriversi al gruppo europarlamentare del Partito Socialista Europeo. Forse quel gruppo sembra a loro troppo di sinistra? Davvero pensano che la maggioranza dei laburisti inglesi, dei socialdemocratici tedeschi, dei socialisti francesi, spagnoli, portoghesi, svedesi, greci siano troppo radicali o troppo laici per ospitare le anime cristiano-sociali presenti tra i petali della Margherita?

Ancora quindici anni fa il Partito Popolare Europeo era essenzialmente il Partito dei democratici cristiani, ma dopo l’immissione dei conservatori inglesi, dei gollisti francesi, di Forza Italia sono diventati un Partito essenzialmente conservatore. Non vi sono dunque terze vie, se non quella rispettabilissima dei liberali. Ma se tale è il sentimento profondo, se il liberale francese Bayrou è apparso a Rutelli preferibile alla socialista Royal, perchè unificarsi con il maggior Partito della sinistra italiana, membro del PSE? Il problema vero risiede però nell’incerta identità dei DS, che continuano a rifuggire dall’idea di una identità socialista, che sentono non propria. Ritengo che questa sia una delle ragioni che ha fatto costituire a Fabio Mussi la “Sinistrra Democratica” e pensare alla “Cosa Rossa”, anziché aderire alla Costituente socialista.

Così i DS dopo aver fatto tanta strada come PCI per essere ammessi a far parte del socialismo europeo, si troveranno, dopo il 14 ottobre, in un Partito che non fa più parte della famiglia socialista europea. Per noi socialisti, che per definirci non abbiamo bisogno di premettere alcunché al nome (non siamo “Post” qualcosa, come altri, ma sempre e solo, semplicemente, socialisti!) è impensabile immaginare che in Italia il più grande Partito di sinistra, sia pur moderata, non possa sopportare la sigla di socialista, anche soltanto in Europa! Non possiamo accettare un generico riformismo senza tradizioni e senza ideologia, che vuole andare “oltre” il concetto di socialismo, verso approdi tanto genericamente democratici quanto politicamente indistinguibili.

Il dibattito sul nascituro Partito è sembrato a volte ruotare su di un aggettivo che non c’è, ossia “socialista”. In verità, coloro che hanno respinto l’ipotesi di conferire al nuovo soggetto politico l’identità socialista e la collocazione internazionale nella famiglia delle socialdemocrazie europee, sottintendono a loro volta l’aggettivo taciuto, ma implicito, nel loro pensiero: “liberale”.

E’ evidente che tra un Partito liberaldemocratico e uno socialdemocratico, le differenze non sono solo di ordine storico, ma ineriscono all’attualità delle concezioni politiche e dei programmi di governo. Carlo Rosselli aveva provato, con il suo socialismo liberale e il dittico di azione politica “giustizia e libertà”, a sintetizzare la duplice stella polare che sul piano etico-civile avrebbe dovuto costituire l’orientamento di fondo del Partito stesso. Oggi le sperienze in Europa che, a torto o a ragione, vengono ricondotte a tale modello, l’economia di mercato è assunta come quadro di riferimento imprescindibile  ma bisognoso di una continua opera di monitoraggio e regolazione affiché non entri in colllisione con altri principi e valori ritenuti anch’essi imprescindibili per una visione liberalsocialista della società.

La Costituzione italiana, del resto, già prevede nei suoi principi fondamentali che vi sono diritti costituzionalmente protetti tra i quali quello al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, alla parità tra i generi. In quanto diritti, essi non possono essere abbandonati per la loro realizzazione alla mera zione del mercato, ma vanno garantiti comunque, se necessario, anche oltre il mercato. E’ dunque partendo da queste esigenze che può essere rinvenuto il tratto socialista indispensabile in una formazione politica quale quella che si ambisce  costituire. L’elemento liberale invece, dovrebbe essere quello che con maggiore sensibilità si pone a tutela di quei diritti personali che le forme di associazione collettiva tendono spesso a prevaricare.

Nel suo recente saggio “La democrazia che non c’è” Paul Ginsborg afferma che “oggi è indispensabile connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia e istituzioni” Si tratta di un programma sul quale potrebbero oggi convergere i padri storici del socialismo e del liberismo ottocenteschi, Karl Marx e John Stuart Mill, come suggerisce l’autore nell’ironica descrizione di un immaginario incontro tra i due.

Resta il fatto che il non qualificare quell’aggettivo “democratico” (che si è voluto unicamente attribuire al nuovo Partito) con altri connotati, non è un problema soltanto nominalistico, ma implica l’intera identità di un Partito che, se proprio non si vuole chiamare socialdemocratico, potrebbe almeno richiamarsi al socialismo liberale, una voce che è l’unica mediazione possibile tra un mercato senza regole e un sotto-sviluppo senza speranza ed alla quale non possiamo rinunciare.

Altra questione: il PD viene definito un Partito di “laici e cattolici”. Cosa ben diversa di un Partito del socialismo europeo, che è un Partito laico, composto di credenti e non credenti. Dove i credenti sono cattolici ma anche di altre fedi religiose.

Il PD nelle battaglie politiche che l’attendono dovrà ispirarsi a valori comuni, che non sembrano ravvisabili nelle rispettive tradizioni ideologiche.

La fusione di due Partiti riuscirà a conciliare l’ispirazione religiosa e la laicità delle istituzioni? Non è prevedibile un conflitto interno tra cattolici e laici del PD su coppie di fatto, fecondazione artificiale, aborto, eutanasia, ecc.?

L’esperienza negativa della fusione tra PSI e PSDI dovrebbe pur essere meditata nell’affrontare con il PD una riedizione, in scala minore, del compromesso storico.

Le questioni di carattere programmatico non sono chiaramente evidenti, nè la dignità delle posizioni politiche che, nell’Europa del XXI secolo, non possono essere altre, a sinistra, che quelle del socialismo liberale. Il percorso finora seguito è la pura e semplice sommatoria burocratica  di due apparati (peraltro, neppure robusti e coesi), con tutti i problemi che ne conseguono, oggi al centro del confronto interno ai due Partiti. Tanto che la costruzione del soggetto politco, l’oggettiva contrapposizione tra premier in carica e aspirante futuro leader della coalizione, è causa di instabilità per il Governo in carica e sta diventando un sentiero minato per gli equilibri della maggioranza.

Dopo le primarie del 14 ottobre e lo scioglimento dei DS, si avrà la cancellazione di una parte ampia della presenza socialista nel nostro Paese. Una eliminazione che lascia allo SDI e alle altre componenti che aderiranno alla Costituente socialista l’onore e l’onere di essere i soli in Italia ad essere parte del socialismo europeo. La questione socialista ritrova il suo spazio. Toccherà alla Costituente socialista farsi carico di mantenere i termini di un riferimento chiaro all’esperienza storica ed alla realtà politica del socialismo democratico europeo. Quello che oggi ha come modello il New Labour di Gordon Brown e il Neue Mitte di Schroeder.

Sergio Luigi Ricca Consigliere SDI Regione Piemonte

 

Suppl. al periodico indipendente L'INCONTRO (Via Consolata 11, Torino)

Registrazione: Tribunale di Torino, n.481/49.

Direttore Responsabile: Bruno Segre   Responsabile Web: Maria Mantello 

Direzione e Redazione: Via Consolata 11 - 10122 Torino (Tel. e Fax +39(0)11-5212000)

Codice Fiscale 03869901003 - Partita IVA 07899410018   Annate arretrate: inviare richieste alla Direzione - : Roberta Fabrizi